Giurie

LA FAGLIA di MASSIMO MIRO

mercoledì, 9 Maggio 2012

 

 

 

 

 

La faglia
Massimo Miro
segnalato XXIV edizione

Goffredo Mezzasalma è un cinquantenne affermato. Ingegnere, vive a Milano, ha una moglie, una figlia, dirige la fabbrica del suocero che vigila sui suoi tentativi di evasioni extraconiugali. Trent’anni fa è arrivato da Torino, con una fuga seguita da rientri a casa sempre frettolosi, per visite in famiglia nel vecchio palazzone popolare, con orrore da parte della consorte snob. Il vero ritorno è quello che Goffredo fa oggi, richiamato dal risveglio improvviso di Jumbo, l’amico in coma dal lontano 1978 a causa di una misteriosa aggressione. Jumbo che per prima cosa ha chiesto di vedere Goffredo Mezzasalma, alias Gomez nelle comuni scorribande metropolitane di fine anni Settanta. Il viaggio e il pensiero di riabbracciare l’amico tornato alla vita dopo 32 anni costringono Goffredo/Gomez alla resa dei conti con un passato pazientemente messo in sordina nei ricordi, con una storia rimossa che si snoda nei giorni e nelle notti di un gruppo di ragazzi sempre al limite dell’illegalità, fra furti, risse e scippi compiuti in un territorio che va dalle estremità suburbane al centro della città storica. Due dimensioni collegate, e al tempo stesso divise, da una strada ferita con un taglio profondo, ostile a ogni tentativo di riparazione: la Faglia. Nei sotterranei di quella storia rimossa è chiusa l’impresa eclatante tentata dalla sgangherata banda: prelevare Aldo Moro da un covo delle Brigate Rosse, e sottrarlo così al suo tragico destino.

Il vincitore e i segnalati della XXV Edizione

venerdì, 4 Maggio 2012

L’ASSOCIAZIONE PER IL PREMIO ITALO CALVINO

Rende noto il comunicato della Giuria che decreta il vincitore e i segnalati della XXV Edizione

 

La Giuria decide di assegnare il premio al romanzo A viso coperto di Riccardo Gazzaniga per la capacità di coinvolgere il lettore facendolo penetrare negli universi paralleli, e poco noti, delle forze dell’ordine e degli ultrà,  illustrandoli con una complessa macchina narrativa caratterizzata dalla molteplicità di punti di vista e da una scrittura asciutta e scorrevole adeguata alla materia, non rifuggendo, coraggiosamente, dal mostrare luci e ombre di entrambi gli universi.
La Giuria decide inoltre di segnalare La casa di Edo di Paolo Marino, un testo di intensa qualità letteraria, che, affidandosi a un misurato registro tragicomico, riesce nella sottile impresa di raccontare l’esistenza di un adolescente fondata sul sospendersi della vita e dalla vita, nella più totale segregazione dal mondo esterno fino all’autoannullamento.
La Giuria ritiene infine di segnalare Lo stile del giorno di Fabrizio Pasanisi per la sorprendente e appassionante capacità di ricostruire ‒ sullo sfondo della grande storia del Novecento e intrecciandole in un ben strutturato impianto narrativo, sulla linea di frontiera tra saggistica e fiction  ‒ le biografie di Thomas Mann e di Bertolt Brecht, avvalendosi di una profonda e accurata conoscenza della loro opera.

 
 

La Giuria:

 

Renato Barilli

Massimo Carlotto

Fabio Geda

Melania G. Mazzucco

Giorgio Vasta

 

Premiazione della XXV Edizione

giovedì, 19 Aprile 2012

L’ASSOCIAZIONE PER IL PREMIO ITALO CALVINO

comunica che la Cerimonia di premiazione della XXV Edizione avrà luogo venerdì 4 maggio alle ore 17, 30 presso il Circolo dei Lettori, a Torino.

 
 

Interverranno i giurati
 
Renato Barilli, Massimo Carlotto, Fabio Geda, Melania Mazzucco, Giorgio Vasta

 
 

Saranno presenti i finalisti

 

Simona Baldelli, Evelina e le fate
Marco Campogiani, Smalltown boy
Riccardo Gazzaniga, A viso coperto
Simone Giorgi, Il peggio è passato
Eugenio Giudici, Piccole storie
Paolo Marino, La casa di Edo
Michela Monferrini, Gennaio come
Fabrizio Pasanisi, Lo stile del giorno

 
 

L’incontro sarà condotto da Stefano Salis.

 
 

L’iniziativa è sostenuta dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, dalla Fondazione CRT e dalla Provincia di Torino, con la collaborazione del Salone Internazionale del Libro di Torino.

 

La Cerimonia è aperta al pubblico.

 
 

IL BANDO DELLA PROSSIMA EDIZIONE

Ricordiamo che il bando della prossima edizione del Premio Calvino sarà pubblicato entro la fine di maggio 2012 e scadrà il 15 ottobre 2012. Per eventuali domande e chiarimenti riguardanti la partecipazione al Premio, invitiamo a contattare la segreteria a partire dal mese di giugno.

DA QUI A CENT’ANNI di ANNA MELIS

lunedì, 2 Aprile 2012

Da qui a cent’anni
Anna Melis
Frassinelli
finalista XXIV edizione

Barbagia, anni Cinquanta. La vita del piccolo Ninniu, nato nella numerosa famiglia Mele, scorre nell’ombra adorata e temuta di Graziano, il fratello balente, bello e disperato. Un eroe destinato a perdere, un bandito amato dalle donne, che conosce solo la vendetta e l’amore selvaggio, e della morte non ha nessuna paura. Neanche quando la famiglia rivale dei Corrias, con cui c’è una faida antica come le pietre nuragiche, decide di infliggere ai Mele la peggiore delle punizioni. (altro…)

INVERNO INFERNO di RICCARDO BATTAGLIA

venerdì, 24 Febbraio 2012

Prologo

 

Bach Mozart Beethoven.

La storia gira sulle triadi. La storia è fatta di triadi.

Lenin Stalin Mao. Baudelaire Rimbaud Verlaine. Il mondo vuole le triadi: banale dirlo, ma e cosi. Inferno purgatorio paradiso. Tonica caratteristica dominante. Kant Hegel Spinoza. Padre figlio spirito santo.

La vita – anche quella è fatta di triadi. Battesimo comunione cresima. Elementari medie superiori. Moglie marito amante. Sinistra centro destra. Sesso droga rock ’n’ roll. Sesso suino sciampagna. E via dicendo.

Perchè l’uno va bene, interessa, affascina nel suo isolamento solipsistico; ma non combina, non rotola, non interagisce, non crea frizioni, non innesca dinamiche dialettiche degne di nota.

Il due è piatto. Piattume. É l’uno che si specchia e si annulla simmetricamente in se stesso. Il due e la coppia. Bianco nero. Marito moglie. Tv pantofole. Superiore sottoposto. Ufficio casa. Casa chiesa.

Maschio femmina. M’ama non m’ama.

Il tre però è esattamente 2+1, che essendo (pur cosi vicini) opposti, antitetici e ineluttabilmente inconciliabili, messi insieme fanno un’entropia pazzesca. Simile a un legame chimico schizzato. Simile alla settima che Monteverdi osò per primo prendere di salto, facendo incazzare come bestie il papa e i suoi soci.

Col tre la giostra si muove. La dialettica riparte, le combinazioni si moltiplicano, i contrasti rinverdiscono e le gelosie si ravvivano. Il movimento si energizza, i rapporti intrinseci ed estrinsechi riprendono a turbinare con frizzante instabilità. Le alleanze si creano. Le maggioranze

fluttuano. L’effervescenza turbina.

 

Insomma, una gran botta di vita.

 

Non era questo però il caso della nostra triade, che pur condividendo con le altre diversi tratti caratteriali (inconcludenza, grandi ideali impraticabili, simpatie per le sostanze stupefacenti) e biografici (frequente disoccupazione, sottoccupazione, occupazione sottopagata, sottoccupazione sottopagata), non sarebbe mai comparsa su alcun testo scolastico. Anche se a suo modo e in altre circostanze storiche avrebbe potuto combinare qualcosa di buono per l’umanità. Ma questo è un altro discorso, e per ora lasciamolo.

Fatto sta che le energie creative della nostra triade oramai languivano. I cambiamenti sembravano non voler bussare più alle porte delle loro dimore spirituali. Insomma: come per chiunque si sia addentrato nei trenta già da un po’, incombeva il rischio della dolceamara routine esistenziale.

 

Quando – inatteso se pur banale, dolce se pur scontato – un cambiamento giunse.

Anzi, tre cambiamenti giunsero. Uno per ogni componente della nostra triade.

Del nostro trio.

Biffi Conficconi Pazzaglia.

 

 

LA CONTORSIONISTA RIDE (racconti) di ANTONIO G. BORTOLUZZI

venerdì, 24 Febbraio 2012

I TRE CORSARI

Le magliette a maniche corte erano stese sul tavolo della cucina come i corpi dei tre corsari prima di essere impiccati nella Plaza de Granada a Maracaybo: il Corsaro Rosso, il Corsaro Verde e il Corsaro Nero. A dir la verità la terza maglietta era blu scuro e non nera. Mia madre tagliava i fili colorati che sporgevano dalle maniche, e sistemava i colletti: si allontanava e guardava meglio, chiudeva uno dei tre bottoni e passava con la mano aperta sul davanti. Era proprio come se stesse componendo i corpi dei tre corsari.
– Vieni qua, provale – mi ha detto vedendomi impalato alla porta.
– Di chi sono? – le ho chiesto mentre indossavo la rossa.
– Me le ha portate Sonia, dalla fabbrica dove lavora.
La maglietta era un po’ lunga. Come la verde e la blu.
– Queste ti vanno bene anche l’anno prossimo.
– Le hai comprate?
– Me le ha regalate Sonia perché sono difettate.
– Ah.
– Questa ha il collo un po’ storto e questa la manica che tira in dentro, vedi?
– No.
– Ma indosso non ci si accorge. E sono cento per cento cotone – ha detto mia madre.
Non ricordavo l’ultima volta che avevamo acquistato qualcosa da vestire per me. Le maglie, i maglioni, le braghe che portavo, anche quando sembravano nuove, era solo perché erano state portate poco da mio fratello o dai miei cugini.
L’ultima cosa comprata apposta per me erano stati gli scarponcini marrone. Eravamo saliti a piedi su al negozio ed entrati nella penombra e in quell’odore forte e cattivo di scarpe nuove. Le scarpe erano dentro pile di scatole bianche tutte uguali. Prima di farmele provare la signora delle scarpe guardava il numero da lontano e poi metteva gli occhiali. Mia madre invece le chiedeva: Che nome hanno? Che voleva dire: quanto costano? Ogni volta che la signora delle scarpe diceva una cifra mia madre si stupiva, faceva Oeee, oppure diceva Maria Vergine, ma l’anno scorso non costavano così tanto. La signora delle scarpe diceva che era per via dell’inflazione.
Quando il prezzo era alto ma le scarpe le piacevano, mia madre me le faceva indossare e mi chiedeva: come te le senti? È sempre difficile sentirsi, quando te lo chiedono. Io sentivo solo l’odore del cuoio, della gomma, della patina da scarpe. Sentivo che costavano troppo; sentivo che non avevo più voglia di iniziare la scuola: faceva ancora caldo e non potevo pensare che avrei lasciato i sandali per gli scarponcini. Però toccava decidere. Rimanevo lì dritto in piedi a farmi tastare la punta delle scarpe perché sentissero fin dove arrivava il ditone. Mi facevano camminare sul tappetino verde, un passo e mezzo avanti e altrettanto indietro, perché il tappeto finiva subito. Gli scarponcini nuovi per la scuola erano duri come il legno e avevano dei forellini sulla tomaia che parevano ricami. Però non mi facevano un male insopportabile e allora dicevo che andavano bene. Era quasi l’ora di Zorro, e con un po’ di fortuna sarei riuscito a vederlo.

 

 

L’ANATRA SPOSA di MARTA CERONI

venerdì, 24 Febbraio 2012

Incipit

Per tutto l’autunno del settantasei il fiume non aveva fatto che gonfiarsi, espandersi nella piana delle boschine e ritrarsi succhiando via sabbia nel solco nuovo della corrente.
C’erano state due grosse piene, entrambe a novembre, e tutti i paesi lungo il Po avevano avuto le loro notti insonni. A San Benedetto il fiume aveva rotto l’argine comprensorio durante la seconda piena. Le statali 343 e 358 si buttavano dritte nel fiume e l’asfalto tracciava ormai delle vie subacquee da cui spuntavano ogni tanto i nudi cartelli stradali. Boretto era così diviso da Viadana, e Ragazzola da San Daniele. Poi, dopo settimane di pioggia, era tornato il sole e molti andavano a vedere gli allagamenti all’ora del tramonto, quando la luce stagnava rosa nei pioppeti e i casali uscivano dalle acque ferme in un abbandono silenzioso, come dal contagio di una peste sconfinata.
A Ghiarole, paese di golena, l’acqua era arrivata alle finestre del piano basso di ogni casa e i 622 abitanti erano stati ospitati da amici e parenti o avevano trovato una sistemazione nei due alberghi di Brescello, il “Don Camillo” e “I Platani”.
Al Don Camillo il salone del ristorante non era stato trasformato in un accampamento come ai Platani, dove tra corde, tende e panni stesi pareva di essere alla fiera. Nel salone del Don Camillo di tavoli ne avevano tenuti solo un paio, che erano stati montati uno sull’altro contro una parete. In cima ci avevano messo la televisione. Per il resto avevano lasciato solo delle sedie, messe tutte in fila come al cinema. Così la sera si guardava il telegiornale e si vedeva di altri posti inondati più a nord. Eppure in molti preferivano andare ai Platani a far baccano. Perché là si parlava, c’era aria di festa e qualche sera c’era stata persino la musica. Là l’orchestra che suonava d’estate al Lido aveva portato valzer e mazurche nel cortile ciottolato, anche se l’aria pizzicava, perché suonare al
chiuso, nel salone tra letti e armadi non si poteva.
I vecchi dicevano che sembrava di essere in tempo di guerra, quando non c’era municipio, non c’era scuola che non fossero abitati da decine di famiglie alla volta e anche Palazzo Bentivoglio a Gualtieri pareva un mercato. Adesso c’era chi non avrebbe voluto vedere finire il tempo dell’alluvione, perché tra balli, tressette e tombole qualcuno si era anche fidanzato.
Quella baraonda andò avanti fino ai Morti. Poi, tornati al paese, avevano lavorato tutti per mesi a spalare il pantano dalle stanze basse e a togliere via l’intonaco dai muri per farli respirare da parte a parte.
La domenica, specialmente, in tutto il paese risuonavano i rumori di attrezzi metallici contro il cemento e i mattoni. E nei cortiletti, tutti separati da reti alte quanto un uomo, c’era un gran movimento di badili, picconi e carriole. I cani – ce n’era uno per ogni cortile, così che quando
arrivava un forestiero tutto il paese ne era al corrente – se ne stavano accucciati in disparte, contro i muri o le fascine, o sotto i carri per scampare all’acquerugiola di quell’autunno miserabile.
C’era anche chi non era tornato al paese fino alla primavera seguente, e chi addirittura non s’ era visto mai più. Fanti, che possedeva quasi tutte le terre di Quadra Pazzaglia, era uno di quelli che non erano tornati. Nel voltare di due stagioni aveva perso tutto a Ghiarole: l’estate gli aveva
portato via la sua Adina, lasciandolo vedovo con un figlio in Francia e l’autunno, col fiume grosso nella golena, gli aveva mangiato le biolche da mettere a frumento e erba medica. Così in paese nessuno si era stupito quando si era venuto a sapere che Fanti era scappato a Belluno dalla
sorella. Invece ci fu da ridere quando saltò fuori che di lassù un bel giorno il vecchio Fanti aveva preso un treno per Arma di Taggia. Senza dire niente, perché ormai s’era fatto di poche parole, aveva ascoltato la sorella che gli comandava le cure elioterapiche. Ma nessuno se lo figurava Fanti
a sanare le ossa malconce con l’elioterapia, al sole aperto delle terrazze.
E anche se viveva una vita pacata, di quasi assenza nella noia dei mezzogiorni passati al sole e nei vagabondaggi sul lungomare se la stagione era piovosa, al paese si diceva che giocasse soldi a San Remo e spendesse tutti i guadagni per rincuorare una vedova di vent’anni più giovane.