36° Edizione

Segnalati XXXVI

domenica, 20 Agosto 2023

Una nota. Chiarimenti e riflessioni

È appena terminata la lunga, impegnativa e coinvolgente avventura della scelta dei segnalati, e siamo oltre la metà di agosto. Da fuori ci si chiede: perché tanto tempo? Certamente ci eravamo fatti una prima idea al momento della scelta dei finalisti. Scelta, questa, tutto sommato, meno difficile perché deve trattarsi di opere impeccabili sotto tutti i profili, emerse da un serrato incrocio di letture. Ma i testi che si segnalano non sono perfettamente compiuti. Occorre fare una complessa scelta comparativa avendo presente il quadro d’insieme. E così, dopo la Premiazione, a luglio, si editano tutti i giudizi prodotti dai gruppi di lettura e c’è chi li rilegge tutti. A questo punto il quadro si fa più chiaro. In caso siano insorti dei dubbi si interloquisce ancora con i lettori, e talora si rileggono ancora una volta certi testi. Desideriamo davvero essere il più possibile radicati nella materia narrativa che abbiamo ricevuto… I criteri di scelta poi non sono matematici e debbono tener conto di molti fattori: il testo è formalmente corretto? È un testo di buona fattura editoriale, senza speciali ambizioni letterarie? È ben costruito? Ha uno stile personale? La lingua è innovativa? Affronta argomenti interessanti? Li affronta da una nuova prospettiva? È un testo con dei difetti ma che dice qualcosa di nuovo? Ha un riconoscibile potenziale, ma non pienamente sviluppato? E così via…

E bilanciare pregi e difetti, come si può capire, è un’operazione sottile che richiede tempo e riflessione.

Ma perché parlare di avventura? La rilettura dei giudizi ci porta a cogliere delle tendenze, a individuare nuovi campi di scrittura, a intuire in che senso va evolvendosi la lingua, e a capire meglio chi siano i nostri concorrenti. Veniamo allora a qualche rapida considerazione di merito sui testi in concorso con un occhio particolare ai segnalati. Quanto alla lingua e alla costruzione dei testi, sempre meno sono gli sperimentalismi, a conferma di un trend editoriale, ma anche critico e di chi legge, diffidente verso le rivoluzioni letterarie. La lingua tende a omogeneizzarsi verso un parlato in stile internazionale senza complessità sintattiche o, in alternativa, a creare smussate mescidanze tra lingua e dialetto in reciproca osmosi. Quest’ultimo fenomeno concerne soprattutto le aree del Sud, dove si assiste anche al fenomeno della ricostruzione della memoria famigliare da parte delle terze generazioni istruite in linea essenzialmente femminile. Quanto ai temi, a parte il noto prevalente interesse (confermato dall’ultimo Strega) per i rapporti intrafamigliari e per i problemi legati alle patologie (interesse speculare all’ossessione narcisistica per il corpo e la prestazione) e alla propria posizione esistenziale, a parte anche l’eclissarsi della fantascienza ma anche del fantasy (con l’eccezione di qualche sparso tocco di realismo magico), quest’anno, superata la crisi Covid, si sono anche assottigliate le vere e proprie distopie, forse perché distopico è sentito il presente senza futuro che si vive e lo sguardo preferisce volgersi al passato. E questo proprio ci pare il nuovo punto interessante: da una parte, ricostruire l’archeologia famigliare o locale, dall’altra tornare a un passato ricostruito liberamente, senza sottostare troppo alle risultanze delle ricerche storiche, passato che può essere la vicenda partigiana o la corte di Versailles o l’epoca romana che torna a essere suggestiva (di questa tipologia ne abbiamo ricevuti svariati, anche se nessuno è tra i trenta gloriosi): in questo passato ‒ in realtà un cronotopo fittizio ‒ si inscenano le pulsioni del presente dal quale si sono prese le distanze. E se di avventura si parla la si proietta nell’epoca d’oro dei viaggi per mare non certo nella nostra epoca di crociere blindate (senza parlare di altri drammatici viaggi mediterranei di cui anche sembra essersi persa traccia rispetto ad altri anni), e se si parla dell’oggi sociale lo si fa in chiave di deformazione grottesca, per dire, la camorra in salsa slapstick.

Mario Marchetti

I 30 gloriosi

Francesca ANDREINI (1966, RM), Hiko

per la delicatezza con cui viene trattato un diffuso fenomeno dei nostri tempi, i giovani che si isolano, riuscendo a conferire singolarità alla voce del giovane protagonista

Camilla AZZONI (1990, PR), L’importante è non cadere dal palco

per l’abilità dell’autrice nel farci vedere la realtà attraverso la lente distorta del protagonista, affetto da un profondo senso di inadeguatezza mascherato da un altrettanto profondo narcisismo

Alessandro BESANA (1988, LC), Cronache da Palmerano

per la fluidità e, al contempo, l’acribia con cui si descrive un paese d’invenzione più autentico di un paese reale, un perfetto microcosmo dell’Italia del Novecento

Stefano BESI (1979, RM), Io / Ruggine

per l’appassionante racconto che sullo sfondo di Venezia ripropone, in chiave moderna ma non senza un tocco di magia, gli eterni interrogativi posti dell’Alcesti euripideo

Catherine Letizia BOGLIACINO (1978, CH), Vuoti di parole

per l’inedita prospettiva con cui affronta sul piano narrativo l’universo della sordità, prospettiva che implica e mette in questione, congiuntamente, udenti e non udenti

Nicolò CAVALLARO (1981, RM), Mentre Sabrina spira oppure Il lama dell’Alabama

per l’inesausta effervescenza verbale, divertente, ironica e colta che deflagra su un rumore di fondo, memento e monito della realtà ultima della condizione umana

Sara CIOLFI (1979, SI), Nato con la camicia

per il garbo e l’accuratezza di una prosa toscaneggiante profumata di antico che sciorina una deliziosa fiaba realistica fuori del tempo, anch’essa radicalmente toscana

Leonardo DI BRINA (1949, RM), Thorold. Il gentiluomo di Capri

per la documentata e avvincente ricostruzione della biografia di un aristocratico inglese del Settecento dalle mille avventure che si concluderà a Capri, dove ne resta ancora testimonianza

Lucio DI CICCO (1952, RM), Vita avventurosa di un’acciuga cantabrica

per il realismo forte e multicolore fuso a una fantasia fiabesca con cui sono immaginate le turbinose avventure per tutti i mari del nomade protagonista

Marta FORNASIERO (1980, PD), Anelli di accrescimento

per l’abile intreccio delle esistenze di due donne con ombre nel loro passato di violenze e molestie subite da parte di persone amate: ciascuna le affronterà a suo modo

Desideria GANDOLFI (1971, FI), L’erba voglio

per lo scintillante racconto della carriera di una cattiva ragazza che, povera e brutta, nella Toscana ottocentesca, ottiene denaro, potere e sesso, grazie a una lucida intelligenza criminale”

Luca GARRONE (1970, MI), Aquae mundi

per l’avventuroso piglio picaresco e per la suggestione di una trama che trascorre tra Langhe seicentesche e mar Ligure non senza un tocco di fantastico e una spruzzata melvilliana

Anna GASCO (1954, TO), La storia taciuta

per l’inusuale focus sui tempi della Resistenza attraverso la storia, ispirata alla realtà, di una donna libera tra partigiani e nazisti, uccisa ingiustamente come spia nell’ora della liberazione

Chiara GHIGLIONE (1972, GE), Anche l’ultimo giorno ha il suo mattino

per l’intensità con cui viene raffigurato il manifestarsi del male, uno stupro, all’interno di una comunità elettiva in una originale piegatura della tensione tra maschile e femminile

Marta LAMALFA (1990, RM), L’isola dove volano le femmine

per l’interessante rievocazione, tra verismo e realismo magico, di un episodio dimenticato della storia, le allucinazioni collettive da segale cornuta che infuriarono ad Alicudi a inizio 900”

Wanda LUBAN (1961, CH), La signora dei canarini

per le variegate scorribande, tra enciclopedismo e fantastico, nei regni vegetale e animale, ma anche umano, in una costellazione triangolare che tocca Bretagna, Socotra e le Canarie

Annalisa MANISCALCO (1988, RM), Io sono per me una terra straniera

per la magistrale conduzione di una sorda battaglia tra due donne, una centenaria italo-americana e la sua accompagnatrice, in un viaggio che le porterà da Roma a New York

Stefania MICHELI (1966, BS), Bella madre

per la potente figura della protagonista che emerge dall’intreccio delle voci narranti di madre e figlia, una figura renitente ai doveri costituiti in nome del proprio sé

Marco MINGHETTI (1963, MI), Ariminum Circus, Stagione I

per l’impeccabile scrittura intessuta di infiniti echi culturali che mira a comporre, con l’accompagnamento di splendide illustrazioni, un vorticoso manuale di letteratura futuribile”

Sebastiano MONTESI (1992, MI), W

per l’empatica scorrevolezza di un testo venato di postmodernismo che ci immette con umanità e ironia nel mondo del wrestling, specchio di un’epoca narcisistica, ossessionata dal corpo

Maria Sofia MORMILE (1993, RM), La follia dei gigli

per lo splendido affresco umano della corte di Versailles alla morte di Luigi XV dipinto dalla prospettiva di quattro principi del sangue in una fascinosa e malinconica versione controfattuale

Stefano PAGLIAROLI (1971, LT), Le sabbie di Ulubre

per il profondo senso della natura innervante una vicenda che vede trasformarsi un luogo laziale dagli echi mitici e proliferante di vita organica in un’enorme e redditizia cava di sabbia

Cinzia PANZETTINI (1958, BI), Rondò di Risera

per la resa attenta e affettuosa del mondo di risaia che fa da sfondo a una catturante vicenda dai toni del feuilleton, con una buona gestione dell’intreccio, dei colpi di scena, delle rivelazioni

Andrea PAULETTO (1982, MB), Scaglie

per la densità descrittiva di periferie, quotidianità e lavoro dove ripetizione e assenza di futuro sono la cifra dominante: straordinario lo sguardo sui camionisti, odierni navigatori

Marika PISCITELLI (1980, BN), Senza meraviglia

per l’elegante riutilizzazione, grazie a un’abile e sorvegliata drammaturgia, del classico topos della cena di famiglia, in cui esplodono i non detti e le tensioni soffocate

Nicoletta SALOMON (1967, FI), Royal  

per la sottile e oggettivante rappresentazione del sentire di una bambina che vede il mondo degli adulti, del palazzo in cui vive, degli amici, dalla sua postura insieme ingenua e disincantata

Stella SCHITO (2000, LE), Un Dio di assenza

per la trascinante ricostruzione dell’incubo in pieno sole in cui scivola il giovane protagonista, fra allucinazioni psichedeliche e pulsioni erotiche nel corso di una vacanza in un’isolata masseria

Alessandro SILVA (1976, PR), Disciplina partigiana

per la visionarietà e la lingua espressionistica con cui si rivitalizza la materia partigiana, in un ardito e azzardato mix di splatter e memoria storica”

Jonathan ZERBIB (1988, NA), La Caduta dei Lammatari

per la narrazione frizzante e grottesca della caduta di un clan camorristico, in un tripudio di prostitute, teste mozzate e kitsch che ammicca con intelligenza alla sceneggiata napoletana

Marina ZUCCHELLI (1986, FR), Latte

per la bella e insolita riflessione sulla maternità che si dipana, trascendendolo, nel complesso rapporto tra due donne, la madre biologica e la balia, in un contesto storico ben documentato

XXXVI Edizione – Galleria fotografica

lunedì, 26 Giugno 2023

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Finalisti e Giuria

Dietro le quinte