Una nota. Chiarimenti e riflessioni
È appena terminata la lunga, impegnativa e coinvolgente avventura della scelta dei segnalati, e siamo oltre la metà di agosto. Da fuori ci si chiede: perché tanto tempo? Certamente ci eravamo fatti una prima idea al momento della scelta dei finalisti. Scelta, questa, tutto sommato, meno difficile perché deve trattarsi di opere impeccabili sotto tutti i profili, emerse da un serrato incrocio di letture. Ma i testi che si segnalano non sono perfettamente compiuti. Occorre fare una complessa scelta comparativa avendo presente il quadro d’insieme. E così, dopo la Premiazione, a luglio, si editano tutti i giudizi prodotti dai gruppi di lettura e c’è chi li rilegge tutti. A questo punto il quadro si fa più chiaro. In caso siano insorti dei dubbi si interloquisce ancora con i lettori, e talora si rileggono ancora una volta certi testi. Desideriamo davvero essere il più possibile radicati nella materia narrativa che abbiamo ricevuto… I criteri di scelta poi non sono matematici e debbono tener conto di molti fattori: il testo è formalmente corretto? È un testo di buona fattura editoriale, senza speciali ambizioni letterarie? È ben costruito? Ha uno stile personale? La lingua è innovativa? Affronta argomenti interessanti? Li affronta da una nuova prospettiva? È un testo con dei difetti ma che dice qualcosa di nuovo? Ha un riconoscibile potenziale, ma non pienamente sviluppato? E così via…
E bilanciare pregi e difetti, come si può capire, è un’operazione sottile che richiede tempo e riflessione.
Ma perché parlare di avventura? La rilettura dei giudizi ci porta a cogliere delle tendenze, a individuare nuovi campi di scrittura, a intuire in che senso va evolvendosi la lingua, e a capire meglio chi siano i nostri concorrenti. Veniamo allora a qualche rapida considerazione di merito sui testi in concorso con un occhio particolare ai segnalati. Quanto alla lingua e alla costruzione dei testi, sempre meno sono gli sperimentalismi, a conferma di un trend editoriale, ma anche critico e di chi legge, diffidente verso le rivoluzioni letterarie. La lingua tende a omogeneizzarsi verso un parlato in stile internazionale senza complessità sintattiche o, in alternativa, a creare smussate mescidanze tra lingua e dialetto in reciproca osmosi. Quest’ultimo fenomeno concerne soprattutto le aree del Sud, dove si assiste anche al fenomeno della ricostruzione della memoria famigliare da parte delle terze generazioni istruite in linea essenzialmente femminile. Quanto ai temi, a parte il noto prevalente interesse (confermato dall’ultimo Strega) per i rapporti intrafamigliari e per i problemi legati alle patologie (interesse speculare all’ossessione narcisistica per il corpo e la prestazione) e alla propria posizione esistenziale, a parte anche l’eclissarsi della fantascienza ma anche del fantasy (con l’eccezione di qualche sparso tocco di realismo magico), quest’anno, superata la crisi Covid, si sono anche assottigliate le vere e proprie distopie, forse perché distopico è sentito il presente senza futuro che si vive e lo sguardo preferisce volgersi al passato. E questo proprio ci pare il nuovo punto interessante: da una parte, ricostruire l’archeologia famigliare o locale, dall’altra tornare a un passato ricostruito liberamente, senza sottostare troppo alle risultanze delle ricerche storiche, passato che può essere la vicenda partigiana o la corte di Versailles o l’epoca romana che torna a essere suggestiva (di questa tipologia ne abbiamo ricevuti svariati, anche se nessuno è tra i trenta gloriosi): in questo passato ‒ in realtà un cronotopo fittizio ‒ si inscenano le pulsioni del presente dal quale si sono prese le distanze. E se di avventura si parla la si proietta nell’epoca d’oro dei viaggi per mare non certo nella nostra epoca di crociere blindate (senza parlare di altri drammatici viaggi mediterranei di cui anche sembra essersi persa traccia rispetto ad altri anni), e se si parla dell’oggi sociale lo si fa in chiave di deformazione grottesca, per dire, la camorra in salsa slapstick.
Mario Marchetti
I 30 gloriosi
Francesca ANDREINI (1966, RM), Hiko
“per la delicatezza con cui viene trattato un diffuso fenomeno dei nostri tempi, i giovani che si isolano, riuscendo a conferire singolarità alla voce del giovane protagonista”
Camilla AZZONI (1990, PR), L’importante è non cadere dal palco
“per l’abilità dell’autrice nel farci vedere la realtà attraverso la lente distorta del protagonista, affetto da un profondo senso di inadeguatezza mascherato da un altrettanto profondo narcisismo”
Alessandro BESANA (1988, LC), Cronache da Palmerano
“per la fluidità e, al contempo, l’acribia con cui si descrive un paese d’invenzione più autentico di un paese reale, un perfetto microcosmo dell’Italia del Novecento”
Stefano BESI (1979, RM), Io / Ruggine
“per l’appassionante racconto che sullo sfondo di Venezia ripropone, in chiave moderna ma non senza un tocco di magia, gli eterni interrogativi posti dell’Alcesti euripideo”
Catherine Letizia BOGLIACINO (1978, CH), Vuoti di parole
“per l’inedita prospettiva con cui affronta sul piano narrativo l’universo della sordità, prospettiva che implica e mette in questione, congiuntamente, udenti e non udenti”
Nicolò CAVALLARO (1981, RM), Mentre Sabrina spira oppure Il lama dell’Alabama
“per l’inesausta effervescenza verbale, divertente, ironica e colta che deflagra su un rumore di fondo, memento e monito della realtà ultima della condizione umana”
Sara CIOLFI (1979, SI), Nato con la camicia
“per il garbo e l’accuratezza di una prosa toscaneggiante profumata di antico che sciorina una deliziosa fiaba realistica fuori del tempo, anch’essa radicalmente toscana”
Leonardo DI BRINA (1949, RM), Thorold. Il gentiluomo di Capri
“per la documentata e avvincente ricostruzione della biografia di un aristocratico inglese del Settecento dalle mille avventure che si concluderà a Capri, dove ne resta ancora testimonianza”
Lucio DI CICCO (1952, RM), Vita avventurosa di un’acciuga cantabrica
“per il realismo forte e multicolore fuso a una fantasia fiabesca con cui sono immaginate le turbinose avventure per tutti i mari del nomade protagonista”
Marta FORNASIERO (1980, PD), Anelli di accrescimento
“per l’abile intreccio delle esistenze di due donne con ombre nel loro passato di violenze e molestie subite da parte di persone amate: ciascuna le affronterà a suo modo”
Desideria GANDOLFI (1971, FI), L’erba voglio
“per lo scintillante racconto della carriera di una cattiva ragazza che, povera e brutta, nella Toscana ottocentesca, ottiene denaro, potere e sesso, grazie a una lucida intelligenza criminale”
Luca GARRONE (1970, MI), Aquae mundi
“per l’avventuroso piglio picaresco e per la suggestione di una trama che trascorre tra Langhe seicentesche e mar Ligure non senza un tocco di fantastico e una spruzzata melvilliana”
Anna GASCO (1954, TO), La storia taciuta
“per l’inusuale focus sui tempi della Resistenza attraverso la storia, ispirata alla realtà, di una donna libera tra partigiani e nazisti, uccisa ingiustamente come spia nell’ora della liberazione”
Chiara GHIGLIONE (1972, GE), Anche l’ultimo giorno ha il suo mattino
“per l’intensità con cui viene raffigurato il manifestarsi del male, uno stupro, all’interno di una comunità elettiva in una originale piegatura della tensione tra maschile e femminile”
Marta LAMALFA (1990, RM), L’isola dove volano le femmine
“per l’interessante rievocazione, tra verismo e realismo magico, di un episodio dimenticato della storia, le allucinazioni collettive da segale cornuta che infuriarono ad Alicudi a inizio 900”
Wanda LUBAN (1961, CH), La signora dei canarini
“per le variegate scorribande, tra enciclopedismo e fantastico, nei regni vegetale e animale, ma anche umano, in una costellazione triangolare che tocca Bretagna, Socotra e le Canarie”
Annalisa MANISCALCO (1988, RM), Io sono per me una terra straniera
“per la magistrale conduzione di una sorda battaglia tra due donne, una centenaria italo-americana e la sua accompagnatrice, in un viaggio che le porterà da Roma a New York”
Stefania MICHELI (1966, BS), Bella madre
“per la potente figura della protagonista che emerge dall’intreccio delle voci narranti di madre e figlia, una figura renitente ai doveri costituiti in nome del proprio sé”
Marco MINGHETTI (1963, MI), Ariminum Circus, Stagione I
“per l’impeccabile scrittura intessuta di infiniti echi culturali che mira a comporre, con l’accompagnamento di splendide illustrazioni, un vorticoso manuale di letteratura futuribile”
Sebastiano MONTESI (1992, MI), W
“per l’empatica scorrevolezza di un testo venato di postmodernismo che ci immette con umanità e ironia nel mondo del wrestling, specchio di un’epoca narcisistica, ossessionata dal corpo”
Maria Sofia MORMILE (1993, RM), La follia dei gigli
“per lo splendido affresco umano della corte di Versailles alla morte di Luigi XV dipinto dalla prospettiva di quattro principi del sangue in una fascinosa e malinconica versione controfattuale”
Stefano PAGLIAROLI (1971, LT), Le sabbie di Ulubre
“per il profondo senso della natura innervante una vicenda che vede trasformarsi un luogo laziale dagli echi mitici e proliferante di vita organica in un’enorme e redditizia cava di sabbia”
Cinzia PANZETTINI (1958, BI), Rondò di Risera
“per la resa attenta e affettuosa del mondo di risaia che fa da sfondo a una catturante vicenda dai toni del feuilleton, con una buona gestione dell’intreccio, dei colpi di scena, delle rivelazioni”
Andrea PAULETTO (1982, MB), Scaglie
“per la densità descrittiva di periferie, quotidianità e lavoro dove ripetizione e assenza di futuro sono la cifra dominante: straordinario lo sguardo sui camionisti, odierni navigatori”
Marika PISCITELLI (1980, BN), Senza meraviglia
“per l’elegante riutilizzazione, grazie a un’abile e sorvegliata drammaturgia, del classico topos della cena di famiglia, in cui esplodono i non detti e le tensioni soffocate”
Nicoletta SALOMON (1967, FI), Royal
“per la sottile e oggettivante rappresentazione del sentire di una bambina che vede il mondo degli adulti, del palazzo in cui vive, degli amici, dalla sua postura insieme ingenua e disincantata”
Stella SCHITO (2000, LE), Un Dio di assenza
“per la trascinante ricostruzione dell’incubo in pieno sole in cui scivola il giovane protagonista, fra allucinazioni psichedeliche e pulsioni erotiche nel corso di una vacanza in un’isolata masseria”
Alessandro SILVA (1976, PR), Disciplina partigiana
“per la visionarietà e la lingua espressionistica con cui si rivitalizza la materia partigiana, in un ardito e azzardato mix di splatter e memoria storica”
Jonathan ZERBIB (1988, NA), La Caduta dei Lammatari
“per la narrazione frizzante e grottesca della caduta di un clan camorristico, in un tripudio di prostitute, teste mozzate e kitsch che ammicca con intelligenza alla sceneggiata napoletana”
Marina ZUCCHELLI (1986, FR), Latte
“per la bella e insolita riflessione sulla maternità che si dipana, trascendendolo, nel complesso rapporto tra due donne, la madre biologica e la balia, in un contesto storico ben documentato”
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