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Un primo felice bilancio

venerdì, 28 Luglio 2017

Il Premio Calvino ha compiuto trent’anni e abbiamo festeggiato il compleanno con molte iniziative ricordando anche Italo Calvino (vedi banda sopra). Soprattutto l’Italo Calvino dei libri degli altri. E per noi il modo migliore di ricordarlo pensiamo sia il lavoro che portiamo avanti con i nostri esordienti.

Ecco, allora, qualcosa che ci dà grande soddisfazione:


GIÀ CINQUE FINALISTI DEL 2017 HANNO TROVATO UN EDITORE:


 

Emanuela Canepa pubblicherà L’animale femmina con Einaudi Stile Libero
Andrea Esposito pubblicherà Città assediata con Il Saggiatore
Davide Martirani pubblicherà Il Regno con Quodlibet
Luca Mercadante pubblicherà Presunzione con minimumfax
Roberto Todisco pubblicherà Jimmy Lamericano con Elliot    

E PER ALTRI LA META È VICINA.

E anche Il perturbante di Giuseppe Imbrogno, menzione speciale nel 2016, ha trovato casa e uscirà in autunno da Autori Riuniti

 


TUTTI CI HANNO SCRITTO IL LORO “DIARIO DEL CALVINO”, COM’È TRADIZIONE.


Se siete curiosi, andate qui

 


E SE VOLETE SAPERNE DI PIÙ SUI TESTI FINALISTI CERCATE “CADILLAC”


La rivista in collaborazione con il Premio ha preparato un numero speciale su cui troverete gli estratti dei romanzi e le schede di lettura insieme a molto altro.

Serena Patrignanelli, La fine dell’estate

mercoledì, 26 Luglio 2017

Una cosa strana è il ciclo delle stagioni.
Cioè non il fatto che si ripetano, ma il fatto che si presentino con gli stessi sintomi disposti nello stesso ordine: noi ci sentiamo uguali e invece siamo diversi. Il tempo non cambia ogni cosa, ma sicuramente cambia noi.
Da diversi anni, per esempio, quando torna l’estate ricomincio a scrivere, cioè ricominciavo a scrivere, questo romanzo molto lungo. Tra un’estate e l’altra passava tanto tempo, come succede, e quindi ogni volta riprendevo il romanzo e lo trovavo invecchiato − o tutto il contrario, ma è la stessa cosa, lo trovavo troppo giovane e ingenuo. Così in un certo senso ricominciavo da capo. Per questo, anche, ci ho messo tanto.
La ripetizione della Stagione, negli anni, mi ha fatto sviluppare associazioni automatiche. Durante gli ultimi giorni di lavoro prima della pausa estiva, mentre faccio ordine tra le cartelle del pc dell’ufficio, penso alle cartelle del mio pc personale, che contengono i capitoli del romanzo. Percorro i titoli, pensando a quale rileggerò per primo. Oppure quando sono a casa, fa molto caldo, e chiudo le tapparelle di ogni stanza, dentro il buio torrido smosso dal ventilatore ho in mano una penna e scrivo scalette, sequenze di parole così sintetiche che dopo un paio d’ore sono solo mucchi di lettere che non rimandano a niente. O vado al mare, e non c’è ancora nessuno. Sulla spiaggia gli operai montano gli stabilimenti – letteralmente li montano, costruiscono i gabbiotti di legno, assemblano gli ombrelloni e li piantano sulla sabbia o tra i sassi. Li guardo dalla terrazza e cerco di accordare il ritmo del mio lavoro sulla tastiera al loro. Penso che stiamo tutti mettendo in ordine qualcosa, io e gli operai, vogliamo che sia tutto pronto prima che gli altri vedano quello che abbiamo combinato. Anche la plastica bollente del volante, quando salgo in macchina: ha a che fare con l’estate. Il bollettino del CIS in autostrada. I pomodori pachino, il melone e l’insalata hanno a che fare. I pantaloncini corti, la coca-cola nella bottiglia di vetro, gli scogli alla fine del lungo mare. Tutto ha a che fare con la scrittura, col fatto che devo finire il romanzo.
Invece non saprei dire che stagione fosse, quando ho ricevuto la telefonata del Calvino. Stavo in una saletta di montaggio dove è sempre la stessa ora – penombra bluastra dei monitor accesi – e la stessa temperatura – quella dell’aria condizionata. Mi ricordo infatti la sensazione di viaggio nel tempo che ho provato ascoltando la voce gentile al telefono, una specie di squarcio verticale nel flusso orizzontale delle giornate di lavoro. La voce diceva che il mio romanzo è davvero finito – cioè diceva altre cose, ma io capivo questo – che quello che stava solo nella mia testa e nel ciclo delle stagioni, adesso esisteva.
È un po’ difficile dire il modo in cui questo mi ha fatto sentire. La felicità è piena e ha una superficie perfetta, è sferica, liscia, non ha angoli o pieghe a cui aggrapparsi per misurarne la forma.
Però adesso che è tornata l’estate, mi pare che si possa raccontare così. Tutte le mie associazioni hanno perso di senso, i pomodori sono solo pomodori, gli operai lavorano per conto loro, il caldo è appiccicoso e non significa niente. Ero certa che mi sarei sentita disorientata, vuota, o proprio persa. Ma quella voce gentile ha detto che avevo fatto quello che dovevo, che andava bene così: non c’è traccia di confusione, in questa estate, ogni vecchio ritorno può avere un significato nuovo, e non vedo l’ora di scoprire quale sarà.

Vanni Lai, Le Tigri del Goceano

mercoledì, 26 Luglio 2017

Quando arrivarono le notti di maggio, lui era pronto. Per scacciare la tensione passava i pomeriggi a camminare nelle campagne di Bajolu, ma fino ad allora non c’era stato nessun contatto. L’avrebbero chiamato? Attese un giorno, poi un altro ancora. La telefonata arrivò al crepuscolo. Guardò il display e constatò che non si trattava di un numero conosciuto. Forse era il dentista, al quale doveva ottanta euro dal mese di gennaio, e glieli deve ancora oggi che scrive questo diario. Si decise a rispondere dopo qualche squillo, e quando la voce iniziò a parlare lui prese appunti sul quadernone di carta bianca, opera di un’impresa di servizio stradale. Scrisse la data e l’ora, ma non il nome dell’uomo. La voce gli raccomandò di mantenere il più stretto riserbo, cosa che lui fece con una certa difficoltà, non essendo avvezzo ai segreti. Al termine della chiamata seguì qualche clic su YouTube, ed ecco You spin me round dei Dead or Alive, interpretata in mutande nel buio della cameretta, con tanto di mosse alla Pete Burns, ma senza vestito da geisha o benda sull’occhio. No, non era abituato a custodire segreti.
Oh, mì che sono in finale al Premio Calvino.
Gavino?
Nono, Calvino, cun sa C.
Seguirono giornate passate a pensare che ad aprile aveva perso sei chili, e se il velluto a coste fosse la scelta migliore per presentarsi all’evento del 30 maggio. Arrivò l’annuncio ufficiale: il suo nome era venuto fuori dal nulla della campagna sarda, quello stesso luogo che forse avrebbe fatto la sua fortuna. Notifiche su Facebook sestuplicate (prima non se lo cagava nessuno), like, post in bacheca, messaggi privati. Si prese una giornata al di fuori dal mondo per rispondere a tutti, almeno in maniera cortese.
Oh complimenti mì, dicevano i messaggi, ebbè quando ce lo fai leggere?
Buongiorno, mi scusi, sono un libraio, non riesco a trovare il suo romanzo su nessun catalogo.
Asco’, ti volevo dire… mettimene da parte una copia.
Mì che mi stanno chiedendo dove si può trovare il libro. Su Amazon a c’è?
Ma siamo sicuri che Le Tigri del Goceano non c’entri qualcosa con la pantera di Bultei?
(vedi http://bit.ly/2rYxYM0 )
Ora c’era un lavoro da fare, un’opera di intelligence per scoprire chi fossero i suoi avversari. Entrò sul sito del PIC, appuntò i loro nomi e i titoli dei romanzi sul quadernone del servizio di segnaletica stradale. Li studiò a fondo con accurate ricerche su Google e su Facebook. Si rese conto che erano questi otto figli di Calvino armati fino ai denti.
Sembrano finti per quanto sono belli. Immagina, Vanni Lai da una parte, solo. E dall’altra il Mucchio Selvaggio. Non sarà un’impresa facile.
Il suo nome era Nessuno.
Restò nell’oscurità a ordire trame malefiche e leggere i commenti dei “leoni da tastiera” (tigri, pantere, leoni, evviva i grandi felini!) che polemizzavano sui nove nella pagina del PIC. Postò un commento sulla Compagnia dell’Anello, nella speranza di essere notato per una certa verve. Il giorno successivo si decise a venir fuori al sole della notorietà.
Adesso se il romanzo non esce te lo puoi pubblicare tu, gli dissero.
Hsinu, pensava.
(leggasi A casinu l’espressione volta a scacciare il malocchio, almeno in questo caso).
Davvero complimenti per il Campiello.
Eja, rispondeva ancora, grazie.
(avete presente l’emoticon dell’omino che sbatte la testa al muro?)
E adesso quando ce lo fai leggere? − e ancora − Asco’ e quindi dove lo possiamo trovare?
(seguirono risposte in loop. Stavolta niente felini, erano ululati).

Roberto Todisco, Jimmy Lamericano

mercoledì, 26 Luglio 2017

Sarà stato il caldo che a Torino, quando fa caldo, fa caldo davvero, e se poi ti succede che devi indossare la giacca e tutto il resto, allora il caldo può pure annebbiarti i pensieri. Oppure sarà stata l’ansia che, da quando ho ricevuto la telefonata di Marchetti, mi si è attorcigliata intorno allo stomaco, una specie di bolo, sì, quelle palle di pelo e saliva che si formano ai gatti e che loro vomitano con nonchalance sul tappeto. Loro. Io invece mi tenevo questo peso dentro che non andava né sopra né sotto. Insomma forse per il caldo, per il bolo idiopatico, o per il fatto di essermi alzato alle cinque del mattino ed essermi fatto Napoli-Torino tutto d’un fiato, fatto sta che la sento. La voce di Jimmy, Jimmy Lamericano intendo.

Desiati sta parlando del libro di Serena Patrignanelli. Racconta di uno strano macchinario che è descritto nel romanzo e che lui proprio non è riuscito a capire come funziona. Serena annuisce, ostenta calma, ma si vede dal sorriso paralizzato e dai respiri cortissimi che anche lei sta messa male. Dal punto di vista dell’emozione intendo. Però lei almeno non ha questa voce nella testa. Spero.

Scappiamo, mi fa la voce di Jimmy. Che cosa? Scappiamo, dico sul serio, nello stato in cui sei adesso se vai a parlare davanti a tutti, facciamo una figura di merda memorabile. Istintivamente mi giro in cerca dell’uscita. La sala è così piena di gente che molti stanno in piedi proprio davanti alla porta. Poi rinsavisco, Ma che diavolo mi metto a pensare. Stare qui oggi è la realizzazione di un sogno: passi anni a scrivere di notte, sui treni o alle fermate degli autobus, arrovellandoti da solo su ogni parola, calibrando il gesto di quel personaggio e l’intonazione delle sue parole. Tutto fine a sé stesso, perché non riesci a trovare la maniera di trasformare le tue storie in qualcosa che arrivi alla gente, farne qualcosa di pubblico, che poi è l’essenza della scrittura. Come fare il musicista in un mondo di sordi. Poi un giorno (una sera nel mio caso) ti arriva la telefonata di Mario Marchetti, che con quel suo tono formale ma allegro, ti dice che sei fra i finalisti del Premio Italo Calvino. All’improvviso si alza il volume. Qualcuno che è disposto ad ascoltare la musica e farla sentire agli altri.

No Jimmy, non scappiamo. Fai come vuoi, ci farai passare per fessi. E smettila di parlare al plurale, non c’è nessun noi, tu sei solo il frutto della mia immaginazione, il personaggio di un libro. Veramente sono il protagonista del libro che ti ha portato fin qui, un po’ di riconoscenza me la devi, non credi? Taci.

Finalmente da un balcone aperto alle spalle del tavolo della giuria si mette ad entrare un po’ d’aria. Marchetti sta per annunciare l’ultima menzione speciale. Siamo rimasti solo io ed Emanuela Canepa. Ecco, Marchetti prende il microfono, ci siamo, Adesso è arrivato il momento di chiamare Jimmy… cioè Roberto Todisco, scusate.

La voce nella mia testa se la ride, sorniona.

Luca Mercadante, Presunzione

mercoledì, 26 Luglio 2017

La pentola di spaghetti ancora da colare mi è caduta addosso pochi minuti dopo la notizia. Finalista al Calvino, ma anche: grave incidente domestico. Più tardi ho depennato mentalmente le due voci dalla lista: cose da fare nei miei secondi quarant’anni.

Portavo il pentolone al lavello e sono scivolato, schiena a terra, sotto gli occhi di Ellen e (da non crederci) c’è stato un istante intercorso fra l’inizio dello scivolare all’indietro e il contatto dell’acqua bollente con le mie braccia e il corpo, durante il quale mi è passata davanti agli occhi la scena di quando avevamo progettato la cucina con l’aiuto di un’addetta dell’Ikea che ci aveva anche stampato un’anteprima.

Non è che sono troppo lontani? aveva detto Ellen.

Teneva l’indice e il medio a compasso sulla stampa. Con un dito toccava il punto dove avevo fatto inserire i fuochi, con l’altro il lavello.

Giusta obiezione, a conti fatti. Però lo aveva detto in quella strana maniera che usano loro scandinavi, come se la priorità “non creare conflitti” fosse radicata nella loro costruzione della frase: soggetto, abbassare il conflitto, predicato e complemento oggetto.

Mica? Non credi? Pensi sia giusto? Stavo ragionando…

Siamo una coppia conflitti-free grazie a lei, ma mi sono rimediato una scottatura che va dalle avanbraccia alle spalle e parte del petto. Di positivo c’era solo che nostro figlio era al campeggio coi boyscout e anche che mancava l’acqua dal giorno prima, quindi avevamo riempito la vasca. Per entrarci con il busto e le braccia, mi ci sono tuffato alla Fantozzi, con un movimento tipo salto in alto.

Ho smesso di urlare mentre gli spaghetti si adagiavano sul fondo della vasca.

Non pensi, mi ha detto Ellen, che dovremmo andare al Pronto Soccorso?

Ellen. Sono sicuro che quando mi lascerà, portandosi via nostro figlio, mi dirà una cosa tipo: Pensi sia giusto che io ti ami per sempre? Oppure: Mica avevi pensato che avremmo vissuto per sempre insieme?

Intanto rieccola con la sua strana convinzione che gli ospedali siano la soluzione. Io invece lo so che sono solo l’inizio del problema.

Però tutto ha cominciato a farmi davvero male. Un dolore dello stesso tipo di quello ai denti, che vorresti strapparteli.

Solo che è alla pelle, e vorresti strappartela.

All’accettazione mi hanno fatto saltare la fila e dato antidolorifici e antibiotici e mi hanno detto che non era un’ustione davvero grave grave, era solo grave. Poi mi hanno dato anche un calmante, perché non la smettevo di sbraitare.

I miei occhi hanno avvertito subito il sonno in arrivo. Ellen mi ha accarezzato i capelli per qualche minuto. Le ho chiesto di leggermi i nomi degli altri finalisti e anche le poche informazioni che si potevano reperire sul sito. Mi ha detto che c’erano altri due dell’area napoletana.

Mi sono spazientito. Che noia, ho detto, siamo ovunque, diciamo tutti le stesse cose, tutti che vogliamo fare il romanzo con la camorra, ma che non sia il solito romanzo sulla camorra.

Ellen ha smesso di accarezzarmi e si è sistemata sulla sedia che sarebbe stata il suo giaciglio per la notte.

Non devi preoccuparti, mi ha detto, in Italia per gli scrittori napoletani funziona alla stessa maniera di come funziona negli Stati Uniti per gli scrittori ebrei: c’è sempre spazio per uno nuovo, l’importante è che non sia davvero diverso da tutti gli altri. Siete il tabellone dei gelati della narrativa estiva.

Come è umana lei. Somiglia tutta a mia madre.

Spero sia capitato anche a loro qualcosa di brutto, ho detto.

Lei ha sorriso.

Agli altri finalisti napoletani?

No, no. Ho detto mentre mi addormentavo per davvero. A tutti. Spero sia capitato qualcosa anche a tutti gli altri finalisti. Magari non grave grave, ma grave.