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Le Opere Segnalate dal Comitato di lettura della XXXII edizione

venerdì, 5 Luglio 2019

Alberto ALBERTINI (1966), Non è più il mio circo

→ “per la rinnovata stesura del romanzo in cui si declinano le conflittuali aspirazioni manageriali e letterarie del protagonista sullo sfondo delle modificazioni avvenute nel mondo aziendale”

Bruno ALESSANDRO (1959), Titerama

→ “per l’efficace commistione di azione e complessità scientifica in una vicenda che da oggi si proietta in un futuro non troppo lontano, tra lotte di potere, astrofisica e spiritualità tibetana”

Giorgio BALDISSERRI (1961), Orient

→ “per la perfetta antropologia di una cooperativa di tipografi emiliani tra anni Settanta e inizio del nuovo millennio, scritta con lingua di precisione chirurgica, tutta cose, spruzzata di misurate e ironiche accensioni”

Silvia BRIZIO (1953), Non sei tu  

→ “per il tentativo di scavare con lingua serrata nell’illusione di tanti genitori odierni di aver creato un privilegiato rapporto di comprensione con i propri figli, che invece sfuggono, e talora con scelte estreme”

Gianluigi BRUNI (1954), Luce del Nord  

→ “per l’abilità descrittiva e l’autentica partecipazione con cui si rappresenta un microcosmo romano di inutili al mondo, a ciascuno dei quali si sa dare voce propria, non senza notevoli rese espressive”

Pietro CAZZANIGA (1973), Gli ultimi giorni del capitano Parat 

→ “per la levità di tocco nel tratteggiare un episodio d’invenzione, dalle soffuse venature esistenziali, ai tempi della persecuzione dei valdesi nelle valli del Piemonte per mano delle truppe del re Sole”

Silvana L. CONVERTINI (1963), Istruzioni per il sosia

→ “per l’inventività dell’escamotage narrativo ‒ un uomo stanco e disilluso prima di abbandonare la famiglia progetta di individuare un proprio sostituto ‒ e per la ricchezza dell’analisi psicologica che lo innerva”

Andrea FONTANA (1974), Il soccorritore

→ “per la sottilmente ambigua anatomia di un miracolo dall’incerta consistenza e dei suoi riverberi sull’esistenza di un laico”    

Loretta FRANCESCHIN (1951), Bella e di lunghi capelli 

→ “per la grande finezza psicologica e di scrittura e per l’intensità con cui si rievoca l’evento di un suicidio adolescenziale in una costellazione famigliare di media borghesia virtuosa”

Alessandra GUARNERO (1968), Un uomo pericoloso (G. R. Lanza: alla ricerca di un artista)  

→ “per la scrittura sobria e precisa e per l’acribia analitica con cui si indaga su un artista finito nella deriva della memoria, del quale rimangono sparsi ricordi, documenti ed oggetti”

Ciro LENTI (1963), Il volo della talpa   

 → “per la vivezza di lingua, la godibilità e l’originalità di una costruzione narrativa in cui il protagonista incompetente della vita diventerà ironicamente uno che dei fallimenti degli altri riuscirà a vivere”

Flavio MENARDI NOGUERA (1953), Narbona  

→ “per la scrittura calibrata, soffusa di contenuta malinconia, con cui si sviluppa il tema dell’abbandono degli antichi borghi, in un susseguirsi di episodi inanellati a formare un eccellente quadro d’insieme”

Pierpaolo MOSCATELLO (1995), Così piccolo da scomparire

→ “per l’umanità e la capacità immaginativa che pervade una delicata trama di amicizia tra un ragazzo obeso e una ragazza senza voce, in un’atmosfera fuori del tempo dalle sfumature surreali”  

Enrico RENZI (1969), La tomba Pascucci  

→ “per l’energia affabulatoria e di lingua con cui si affresca la rocambolesca storia ‒ una sorta di epica in chiave minore ‒ dei fratelli Pascucci, tombaroli di vecchia tradizione nella misteriosa terra etrusca”

Roberto RISSO (1978), L’ultima torre

→ “per la rara capacità visionaria e la precisione di scrittura con cui si descrivono la difficile e drammatica sopravvivenza in una Torino postuma, devastata ormai senza remissione, e i suoi variegati protagonisti”

Carlo RUSSO (1956), La trovatura del Santuario della Beata Vergine Addolorata

→ “per il passo disteso, la cifra umoristica e l’incanto con cui si racconta un paradossale episodio di devozione e di micropotere nell’eterna provincia siciliana”

Nicoletta SALOMON (1967), Tredici anni  

→ “per la nitidezza di scrittura con cui si dà voce alla prospettiva sulla vita, alle emozioni e agli affetti di una giovanissima adolescente”                     

Claudio UGUCCIONI (1959), La verità sospesa  

→ “per l’avvincente talento e la competenza con cui si dipana una vicenda, dalle tinte gialle, in cui il glorioso passato scientifico gesuitico riemerge con forza nel presente”

Ruben TRASATTI (1992), I figli degli ignoti

→ “per il tentativo, pur ancora acerbo, di fondere in un’ossessiva visuale ‒ sulla campitura di un futuribile e impietoso conflitto planetario e di un universo ormai fuori sesto ‒ il tema identitario e il tema della morte” 

Roberto ZAMBON (1985), Vero cuoio   

→ “per l’efficace mimesi con cui vi si raffigura il mondo del rugby con i suoi riti e i suoi miti, con le sue pratiche e i suoi diversi tipi umani e con la sua estrema rudezza di linguaggio”

Si segnalano poi i racconti

Amour di Loris RIGHETTO (1979)

→ “per il singolare triangolo tra un adolescente, una pornodiva virtuale e una commessa, schizzato da una enigmatica voce narrante nella cornice di un sex shop”

L’alternativa del cavaliere di Alberto GENOVESE (1955)

→ “per la qualità linguistica, l’ironia maliziosa e la vaga malinconia con cui si indaga sull’origine del detto siciliano o futtiri o vasari