“Il tuo romanzo che titolo ha?”, chiedo al giovanissimo finalista diretto come me al salone d’onore del Circolo dei lettori.
“Pippe”.
“Pippe? Pippe come?”
“Come Pippe? Pippe!”
“Ma sarà una metafora…”
“No”.
E si allontana il bel Giovanni Vergineo, dal cognome deliziosamente antifrastico.
Il finalista che mi siede vicino ha un sorriso tranquillo. Qui non rischio, penso.
“E il tuo romanzo, come si intitola?”
“R.M.”.
“Ecco”. Conclusione secca, che non gli venga in mente di spiegare. Si sa mai. Perché non si tratta delle iniziali del suo nome, Michele Lamon. La M sarebbe prima, anche se la seconda lettera fosse al posto di un soprannome. Nessuna curiosità mi dico, nessuna.
Ripasso a memoria l’elenco dei libri finalisti. Sempre stata un po’ strega. Magari indovino chi vince. Ultimo dell’alfabeto è facile: Damiano Zernieri inizia per z, ultimo appunto, autobiografia almeno un po’. Anche Alessandro Cinquegrani ha un titolo coerente: Cacciatori di frodo, e penso ai grani gialli di sorgo grosso che si mettevano sulla neve per catturare i passerotti nell’inverno etico della nostra infanzia. E c’è anche qui un l’inverno: Inverno inferno. Bella assonanza. Forse Riccardo Battaglia è un poeta o un musicista. Gioca con i suoni. Io farei vincere lui, la musica salva il mondo, o almeno lo culla. O forse vince L’anatra sposa, di Marta Ceroni: bel titolo, bellissima la creatura esotica dalle penne cangianti, splendida Marta, la regina dei finalisti. Deve essere bello anche il libro. Vince lei.
“Complimenti”, mi dice R.M.Lamon.
“Cosa?”.
“Hai vinto”.
“Chi?”
“Tu. Stai nella cartelletta che hai in mano. Leggi”.
Vero. Si spera ma non ci si crede e non si ha mai bella pronta l’espressione acconcia quando tocca a noi. Distrarsi va bene e continuo ad oltranza. La contorsionista ride di Antonio G. (Gianni, Gianfrancesco, Gianciotto?) Bortoluzzi: titolo lungo per un cognome lungo. Dev’essere un libro allegro. O è antifrastico anche questo? Carolyna è proprio ermetico, Roberto Risso non si lascia intuire, e il mistero è sempre una buona scelta per farsi leggere. E invece L’amore assente di Eduardo Savarese promette l’abisso della tragedia. Titolo universale. Già finiti? No, ci sono ancora i poeti: E m’oscuro in un mio nido di Marco Gualersi e La notte dei bambini cometa di Pierpaolo Vettori dovrebbero dividersi un premio per il titolo più evocativo.
“Parlano di te”. Magari R.M. sta per Raffaele e Michele, i due arcangeli, uno protegge in nome di Dio e l’altro lotta contro il male. Forse è un fine teologo Lamon.
Distrarsi distrarsi. Il latino va sempre bene. Per aspera ad astra, pertinente ma troppo breve. Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur, c’entra nulla. Ambarabaciccìcoccò, impertinente e non è latino. I salmi! Ne so un bel po’ e durano molto. Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam, troppo pertinente. Il salmo 8, ecco: è bello, lungo ed appropriato: Se guardo il tuo cielo, opera delle tue mani, la luna e le stelle che tu hai fissato…
“Leggono il tuo libro”, insiste il l’arcangelo al quadrato che si ostina a contrastare la mia deriva autistica.
Vero. Stanno leggendo l’incipit, ma è molto più bello di quello che ho mandato al Calvino. E’ la passione di Valeria Parrella: da Napoli a Torino per mettere anima e sangue in parole sorvegliate fino allo sfinimento.
“Mi sa che ti fanno parlare” dice Michele.
“Ma R per cosa sta?
“Roberto”.
“Ma non esiste l’arcangelo Roberto!”
“Cosa?”
E mentre mi alzo sento la voce di Valeria Parrella: “Bel libro, sì, c’è architettura della storia. Bello, pronto per essere stampato. Ma il titolo! Memorie mancate? Eh no! Il titolo va cambiato subito! Via!”.
Visita il nostro canale Youtube
Visita la nostra pagina Facebook
Visita la nostra pagina Twitter
Visita il nostro profilo Instagram