Maria Novella nel bosco
Convinta di non scaldarsi inizia il riscaldamento. Il caldo arriva in una forma tenue, come un’ovatta. Poi come un piumaggio arruffato, da pulcino. E un’onda tiepida si sprigiona da una specie di cratere interno al petto e rimescola il suo sangue, la fa pizzicare: dita, faccia, orecchie. L’onda passa attraverso il naso. La patina di muffa si asciuga e un odore dolciastro, di vegetazione marcescente investe l’olfatto. Pare un tripudio di vita, ma non lo è, è decomposizione. È qualcosa che infradicia i tronchi e le cortecce, che ammorba e appesantisce il fogliame. Un manto dal sembiante di muschio che non si stacca da dove ha attecchito e non fa mostra dell’esercito di larve e formiche al lavoro sotto le scorze. Nella sostanza: un sudario.
Maria Novella inizia a correre su un pezzo di sentiero che s’inoltra nel bosco. Quando le aggrada abbandona il sentiero e corre in mezzo ai cerri. Fende lo spazio tra loro, sterza di colpo. Fa girotondi intorno ai fusti più grossi col braccio teso. Finge di finire addosso ai cerri, frena. A un tratto le gira la testa e allora sono i fusti a mettersi in fila e a venirle addosso.
Maria Novella vede un muro di legno alto e grigio. Non rallenta. Si precipita sul muro come presa dalla smania giovanile dello schianto. Il muro ha solchi visibili e profondi che mano a mano si dilatano. Dai solchi, dai legni cavi, soffia un vento glaciale che respinge quel che osa andargli incontro. Ma niente da fare.
La parete di cerro è un’illusione atmosferica, uno scherzo della luce fioca, una superficie cangiante che basta toccare per scioglierla di colpo, per ridurla di dimensioni. Al momento decisivo, a un soffio dall’impatto, gli alberi rompono le righe, riprendono l’abituale distanza tra loro e sgombrano la via agli animali e agli umani di passaggio.
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