OPERE SEGNALATE dal Comitato di lettura della XXXI edizione
Alberto ALBERTINI (1966), Non è più il mio circo
→ “per l’agile e perspicace analisi − sviluppata attraverso un protagonista diviso tra cultura industriale e cultura umanistica − dei rapporti d’impresa e, in particolare, della neolingua manageriale”
Daniele ANTONIETTI (1954), Nerd
→ “per la grande civiltà di scrittura e la garbata ironia con cui si traccia la linea di una vita in apparenza votata al successo in ogni campo, con belle notazioni sull’ambiente aziendale”
Gian Luca BARBIERI (1958), Grammatica del delirio d’amore − Racconti
→ “per l’ironica variazione sul tema di eros e thanatos espressa con inusuale eleganza stilistica e con sapide incursioni nel vernacolo padano”
Marta BENALI (1979), Ferragosto in Paradiso
→ “per la messa a fuoco impietosa dei riti, delle gerarchie, delle imposture e dei troppo umani utenti di un centro di recupero dalla tossicodipendenza”
Marina CAPIZZI (1961), Il ladro di gesti
→ “per il colore e la forza della lingua piccoloborghese − di matrice lombarda − di una madre incapace di affetto e per la stranita parabola di emancipazione del figlio”
Claudio CONTI (1972), Una riga sopra
→ “per un’originale ibridazione postmoderna tra fantastoria e Bildungsroman che si avvale di un linguaggio eteroclito e di una complessa struttura narrativa”
Paolo Giovanni D’AMATO (1978), La libellula armata
→ “per aver saputo toccare temi attuali come la marginalità delle periferie, la rabbia dei giovani, la corruzione della politica, in un avvincente romanzo di genere dalla scrittura scarna ed essenziale”
Adriano DI MAJO (1941), Il tango dell’arcangelo
→ “per la sottile partitura, nelle sue pieghe più riposte, dell’attrazione erotica tra un maturo studioso di storia dell’arte e la giovane figliastra”
Armando DINELLA (1988), Schizzo di vino
→ “per l’invettiva irriverente e ubriaca contro ogni potestà costituita, tra Guccini e Bukowski, in un continuo fuoco d’artificio espressivo”
Michele FACEN (1977), Tutta brava gente
→ “per il potente affresco di un ambiente di montagna fuori del tempo immerso in una plumbea tradizione patriarcale e in balia di un’oscura sessualità”
Rolando GUERRIERO (1935), Storie della terra di Velkemberg
→ “per la caleidoscopica varietà dei registri linguistici e per l’immaginifica e satirica trasfigurazione della storia italiana novecentesca”
Claudio LAGOMARSINI (1984), Ai sopravvissuti spareremo ancora
→ “per la livida e icastica rappresentazione di un ordinario grumo famigliare dell’odierna provincia italiana percorso da violenze sotterranee e dal pregiudizio maschile”
Angelo Giordano LALLI (1965), Clarisse Guéret
→ “per l’abile rivisitazione del feuilleton, con tutti i suoi classici topoi, nel dispiegamento di un moderno melodramma familiare”
Davide LENA (1985), Sogni di strega
→ “per la capacità fantastica e fantasiosa di affrontare con lo strumento dell’apologo temi di grande rilievo come la condizione animale nel mondo umano”
Luigi NACCI (1978), Il salvatore
→ “per l’immaginario fumettistico e l’amabile disinvoltura con cui narra, avvalendosi di un’ampia tastiera lessicale, il mondo carsico e giuliano, crogiolo di tante e collidenti culture”
Renato NICASSIO (1987), Lo spazio della carne
→ “per il disincanto e la nitidezza espressiva con cui si tratteggia la stasi esistenziale di un trentenne in un’epoca in cui la corporeità è sotto stringente assedio mediatico”
Alex ORIANI e Carmen VERDE, Tutta la vita dietro un dito
→ “per la sensibilità, la gradevolezza e l’ironia con cui viene declinata una microfisica finemente surreale della contemporanea atomizzazione dell’individuo”
Martina PASTORI (1997), Come quando fuori piove
→ “per la freschezza e la genuinità con cui si dipana una costellazione di solitudini al cui centro c’è la figura commovente e coinvolgente della giovane Nina prostituta per destino”
Alberto RAVASIO (1990), Pornogonia
→ “per la programmatica e onnivora oltranza che nulla risparmia, dalla religione ai miti d’oggi, condotta con una lingua rutilante di notevole efficacia”
Domenico REGA (1974), Vico dei Giganti
→ “per lo scanzonato e leggero tono da commedia con cui si dipana la vita di un giovane studente in cerca d’autore su sfondo corale napoletano”
Donatella ROMANELLI (1980), Angelina corre veloce
→ “per il vivido ritratto − sullo sfondo di un Sud sospeso tra modernità e guaste pratiche educative e sessuali − di una madre amata attraverso gli occhi della figlia ormai adulta che ricorda”
Davide RUFFINI (1986), Le anime morte a scuola
→ “per il notevole talento linguistico e per l’acuta intelligenza con cui si tratteggia un disilluso quadro dell’odierna istruzione di massa e, sotto traccia, della società italiana nel suo insieme”
Gabriele SASSONE (1983), L’essere aggettivo
→ “per la visionaria descrizione di un hinterland milanese in cui si intrecciano meschine trame di potere politico e artistico e per l’originale gioco di intarsio linguistico”
Mimmo SORRENTINO (1963), Che tutto sia bene
→ “per il valore di testimonianza di una ricca esperienza di teatro sociale riportata per episodi in modo narrativamente semplice e chiaro”
Claudio UGUCCIONI (1959), L’oro di Dio
→ “per il documentato recupero, grazie a un coinvolgente intrigo di genere, della storia degli ustascia e dei loro legami con la chiesa cattolica tra II guerra mondiale e conflitti etnici jugoslavi”
Nicoletta VERNA (1976, FI), Il valore affettivo
→ “per la sottile indagine psicologica che coinvolge il nesso tra verità e menzogna in un ordito di rapporti famigliari e di coppia disfunzionali”
Silvia Teresa VERNETTO (1956), La polenta di Celestina
→ “per la narrazione scorrevole, dal sapore d’antan, di una vicenda ambientata nel cuneese che partendo dal ‘78 allunga le sue radici fino all’occupazione tedesca e alla lotta partigiana”
Elia ZORDAN (1986), Biagio, studente di medicina
→ “per la cifra umbratile ed emotiva di una scrittura che ripercorre l’incompiuta formazione sentimentale di un giovane d’oggi”
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