Giurie

L’ANTIPATICO di Michele Lamon

mercoledì, 14 Dicembre 2011

Sono in cucina e sto guardando sovrappensiero fuori dalla finestra, quando squilla il cellulare. Il suono prosaico sgretola la mia condizione aulica di sovrappensante e mi fa d’un botto vedere molte cose come stanno. Ad esempio che fuori dalla finestra, in giardino, c’è il mio vicino che indica ripetutamente dalla mia parte proferendo delle parole, ma non riesco a intuire dal labiale che diamine vuole; che è una giornata poco luminosa, proviene quasi più luce dal frigorifero inspiegabilmente aperto; che il frigorifero è inspiegabilmente aperto; che tenere il tetrapack del succo di frutta inclinato sul bicchiere tutto questo tempo è decisamente eccessivo. E che sta squillando il cellulare.

Mentre la tovaglia si incarica di assorbire la tracimazione, esamino il numero sullo schermo. Prefisso 011. Torino. Chi può essere da Torino. La rai. Ma con la rai ci ho litigato. La fiat. Ho litigato anche con la fiat. Da quei posti vengono solo attaccabrighe. E le perturbazioni atmosferiche.

Rispondo. Dall’altra parte si annuncia Mario Marchetti del Premio Calvino: volevo informarla che il suo scritto è tra quelli ammessi all’esame della giuria esterna, congratulazioni. In qualità di finalista è quindi invitato alla premiazione, naturalmente sarà nostro ospite, a breve le indicheremo presso quale albergo le verrà prenotata la stanza. Dunque a presto, e ancora complimenti per il suo lavoro.

Giorno dell’arrivo a Torino. Raggiungo la reception dell’albergo e mi imbatto con grande sorpresa in una fila di svariati metri, che, mi volto per constatarlo, si propaga con placida inarrestabilità. Ma che succede? Ah, certo, sono i giorni dell’ostensione della sindone. La città è traboccante di pellegrini, una quota dei quali si trova, con pupi armi bagagli e senza prenotazione, dinanzi a me. Assisto quindi alla accorata quanto inutile richiesta di alloggio di quei devoti messisi nelle mani divine anche per le spicciole questioni logistiche. La procedura deve essere in atto già da un bel po’, tanto che si è ritualizzata in una formula standard di richiesta-rifiuto non priva di una certa musicalità: siam fedeli siam qui per la sindone, sia gentile ci assegni una stanza ne. Il “ne” lo usano anche i non indigeni, per ingraziarsi con tattica etnica l’alberghiera, la quale però dà sempre la stessa risposta: siam spiacenti ma siamo al completo, disteso il lenzuolo Torino è al tappeto. Avanza il successivo e la preghiera ricomincia: siam fedeli siam qui ecc… La ritmica è d’aiuto cosicché la fila scorre con scioltezza.

Ora è il mio turno, sono decisamente a disagio. Conscio di rompere l’incanto del cerimoniale sibilo il mio cacofonico “Mi chiamo Lamon, dovrebbe esserci una prenotazione da parte del Premio Calvino”. La receptionist dimostra buoni riflessi, sbaglia solo la prima sillaba, al “siam” si interrompe e magicamente pronuncia un “Benarrivato signor Lamon, ecco le sue chiavi”. Cerco di non voltarmi al mormorio indignato che aleggia alle mie spalle, ma con la coda dell’occhio intuisco lo sguardo del prossimo aspirante cliente, fisso su di me a occhi stretti. Mi allontano il più rapidamente possibile ma faccio in tempo a sentirgli dire “Mi chiamo Lamon, dovrebbe esserci…”.

Giorno della premiazione. Sono belle le premiazioni, lo testimonio in prima persona. In seconda o in terza persona forse sarebbe diverso. Comunque, sono piacevoli, in ogni aspetto, compresa la presenza dei colleghi/concorrenti/guastafeste, dopo che li hai conosciuti. Del resto, siamo una compagine alquanto eterogenea eppure accomunata da qualcosa di importante e forte al punto da trovarci tutti per lo stesso motivo nel salone del Circolo dei Lettori. E il discorso non cambia nemmeno per la collega/concorrente/piùguastafesteditutti, ossia Mariapia Veladiano, la vincitrice. Il caso vuole che lei ed io ci si trovi vicini di posto, ci scambiamo le rispettive schede compilate dal comitato di lettura e qualche frase tra un intervento e l’altro di organizzatori, ospiti, giuria. Mariapia è molto composta e cordialissima, queste qualità mettono in risalto i popcorn emozionali di cui scoppietta ogni tanto mentre gli altoparlanti citano brani o elencano i molti pregi del suo romanzo. A un certo punto abbasso lo sguardo e la vedo scrivere alacremente sui margini di un foglio stampato. Cosa fai? Butto giù un canovaccio di cosa dire se mi chiamano sul palco. Caspita quanto sei diligente. No no, è vuoto mentale. Ma non dovrai mica fare un discorso, giusto un paio di… Ah sì? Mi interrompe lei, allora prova a dirmi: quante pagine ha il tuo romanzo? Rispondo senza esitazione: centododici. Ma sto bluffando, non lo ricordo affatto. Improvvisamente mi rendo conto di essere del tutto impreparato sulla mia opera. Sto per chiederle in prestito la penna e cercare di rimediare a mia volta quando, chiamata sul palco da Valeria Parrella, la vincitrice si alza e se ne va.

Fine della cerimonia, scemano gli applausi e si sciama verso il buffet. Non ho ancora appetito, vedo delle caraffe dai colori accesi e decido giusto di rifarmi la bocca con un succo di frutta. Mi viene in mente una cosa. Mariapia alla fine del suo intervento ha strappato e gettato via il foglio dove si era appuntata cosa dire. Poco prima ci eravamo scambiati le schede di lettura. Ecco, ora so che la mia giace sbrindellata dentro qualche cestino. Inoltre, percepisco un aumento di agitazione intorno a me. Cosa mi stanno blaterando tutti quanti? Perché mi indicano con insistenza? Ma allora è vero che qui ci sono solo attaccabrighe.