Giurie

LA QUALITÁ DEL DONO di MAX FERRONE

venerdì, 24 Febbraio 2012

Conducevano una vita surreale, in un quartiere che tremolava al sole come un miraggio. A volte Tommy, svegliandosi la notte di soprassalto, scopriva Said addormentato e gli si fermava il respiro, mentre cresceva la sensazione di trovarsi dentro un incubo espanso nella realtà, più forte delle cose che si possono vedere e toccare.

Sempre più spesso, però, l’incubo vero era immaginare la sua assenza. Figurarselo uscire di nascosto, scendere le scale quatto quatto, tuffarsi nell’asfalto e imbattersi nei suoi carnefici. Tommy sentiva la paura dell’abbandono, la vedeva addirittura, ma gli appariva slegata da tutto. Non la capiva, non era concepibile.

Provava a trasformare i giorni della settimana appena trascorsa in tanti minuscoli mattoni. Cercava tra i mattoncini le ragioni del suo attaccamento a quello sconosciuto, i segni indubitabili della sua malia. Non ne trovava. Said era semplicemente entrato nel suo appartamento e non ne era più uscito. Dormiva e mangiava insieme a lui. Gli parlava e lo ascoltava parlare. Nelle ultime ore del pomeriggio, quando una luce morbida s’insinuava in casa e un venticello leggero diradava l’afa, sonnecchiava sul divano.

Da una settimana.

…….

Pensò allo scorrere del tempo. Immaginava il tempo come una macchia scura, livida, che si espandeva e si riassorbiva. Ora sembrava troppo, un attimo dopo non era abbastanza.

Era passata una settimana. Quando mai una settimana gli era parsa più breve? Eppure infinita? In una settimana non era cambiato nulla. Da una settimana nulla era uguale a prima. Se gli avessero chiesto di riferire cosa, in quei giorni, avesse reso naturale e vitale la presenza di Said, quali parole avrebbe usato? Ci avrebbe perso la testa, probabilmente, senza trovarle. Come quelle del mago stanco, le sue ragioni erano in uno sguardo. Non c’erano parole.