Giurie

IL PEGGIO È PASSATO di SIMONE GIORGI

venerdì, 15 Giugno 2012

Diciassette anni Alessandra, tredici Patrizia. Io ne avevo quindici, e mi vidi come il vertice di un triangolo isoscele, la stessa distanza mi separava da entrambe.
Ma il triangolo si fece subito scaleno: assorbito dalla maggiore, mi accostai a lei, che delle due era la più bella. La più bella che abbia mai visto. La persona con cui sarei stato felice, che avrei amato per sempre, a cui avrei sacrificato tutto.
La mia Alessandra. La donna a cui ho distrutto la vita.
Mi sono bastati sette giorni. Sette giorni dell’agosto 1952. Io neppure volevo partecipare a quella stupida vacanza. Una settimana a fare passeggiate sul Pordoi: a me passeggiare non piace. A me piace dormire, l’orizzontalità dei letti.
Invidio i serpenti: che senso ha essere alti un metro e ottanta, per poi reggersi sui pochi centimetri quadrati dei piedi? Perché alzarsi, quando si può strisciare con comodo e, a ogni istante, chiudere gli occhi e dormire?
E poi era una vacanza di gruppo.
Col tempo ho imparato l’arte di condividere lo spazio e le chiacchiere con altra gente senza concedere alcuna intimità: a settantadue anni c’è in giro chi mi trova persino un po’ simpatico. Ma allora ero un adolescente chiuso in una solitudine feroce, fortezza che mi proteggeva da tutto e tutti. Che attrattiva poteva offrire una vacanza di gruppo?
Alessandra.
Alessandra che era lì, a due passi dal buffet dell’albergo, col suo tailleur nero con gonna lunga, scarpe basse, guanti da sera, capelli voluminosi ma corti.
Alessandra con la sua voce roca. Una voce già da donna indecisa se cedere al disincanto o alle lusinghe della malinconia. «Alceo. Che nome ridicolo.»