Giurie

E M’OSCURO IN UN MIO NIDO di MARCO GUALERSI

venerdì, 24 Febbraio 2012

Un funerale
Incipit

Quella notte sarebbe passata dal villaggio, quella notte avremmo vegliato, quella notte l’avremmo vista anche noi.
Da qualche tempo si erano alzate sommesse delle voci tra le povere case di pastori e contadini. Le voci si erano rincorse per giorni, incerte. Non sembrava vero che avrebbe attraversato anche questo umile paesello.
Ma poi un pastore, una persona fidata, disse che un suo cugino, un macellaio di un paese distante due giorni di cammino, gli aveva assicurato che sarebbe passata anche da questo villaggio: due giorni prima era proprio al paese di questo macellaio. E si dirigeva da questa parte
Se la sua destinazione era, come si diceva, Granada, doveva per forza passare da qui.
Subito i paesani corsero a cercare conferme ed in breve non ci furono più dubbi: sarebbe passata dal villaggio, quella notte.
Quando il sole sarebbe tramontato, avremmo visto anche noi la regina Juana. La Pazza.

Era una notte bellissima, di fine aprile. Un tenue refolo del vento caldo di maggio si insinuava nella fresca aria notturna. Le fronde degli alberi fuori dal villaggio frusciavano lievi, c’era un silenzio carico d’attesa tra le case, un silenzio speciale che si insinuava sotto le sommesse chiacchiere dei paesani. Uno sterminato tappeto di stelle circondava la luna, quasi piena, grande e luminosa.
Non si era parlato d’altro, durante tutto il giorno. Anche ora le voci non si erano placate. Sulle strade polverose, sulle porte delle case, attorno ai tavoli, alle finestre, si creavano crocchi di persone che sottovoce, come se non volessero farsi udire da misteriose orecchie, raccontavano le storie che avevano sentite sulla nobile regina d’Aragona e Castiglia, Juana, la figlia di Isabel e Fernando, i Cattolici.
Alcuni raccontavano cupi che la regina era nata nello stesso istante in cui cento eretici, mori ed ebrei, venivano bruciati sul rogo, proprio sotto alla camera dove vide per la prima volta la luce. Raccontavano, questi paesani, che l’Infanta non pianse, e appena uscita dal reale grembo della nobile Isabel guardò con scuri occhi profondi color nocciola la madre, la fissò con muto e incomprensibile rimprovero. Si diceva che aveva una voglia a forma di croce infuocata sul petto, che non sopportasse la vista del fuoco e che fuggisse spaventata la luce.
Altri paesani sostenevano che crescendo fosse diventata una bambina solitaria e silenziosa, che guardasse tutti con quello sguardo perduto in chissà quali vuote profondità. Inspiegabili riflessi d’ambra brillavano a volte nei suoi occhi. Si diceva che la bambina parlasse con esseri invisibili, che guardasse eventi di mondi inconcepibili. La piccola Juana era una straniera. Nessuno, pareva, osava avvicinarsi a quella perduta lontananza. La balia, le serve, i suoi stessi augusti genitori voltavano la testa di fronte a quello sguardo bieco carico di nulla…