Giurie

CACCIATORI DI FRODO di ALESSANDRO CINQUEGRANI

venerdì, 24 Febbraio 2012

Incipit

E niente più pneumatici, niente smaltimento rifiuti, niente fiore all’occhiello dell’efficienza del florido Nordest, penso mentre percorro i binari della ferrovia, ora dovrei forse contare i passi dei binari della ferrovia che percorro, per dare il senso della mia efficienza, contano i passi quelli che hanno rabbia da vendere, psicolabili, psicopazzi, psicodeficienti che contano i passi per sembrare psicopazzi, ma io non conto i passi mentre percorro i binari della ferrovia, penso mentre percorro i binari della ferrovia, io mi porto al guinzaglio la mia nuvola, una manciata di metri cubi di acerbe espiazioni prese al guinzaglio e percorro i binari della ferrovia, dodici chilometri ho sentito dire, dodici chilometri suppergiù che devo percorrere dei binari della ferrovia per raggiungere la curva troppo stretta e dietro la curva trovare mia moglie sdraiata sui binari che aspetta che il treno venga a farle rotolare la testa giù dall’argine e nel fiume. Dodici chilometri, dalla casa cantoniera dove siamo andati a stare dopo che è successo tutto, dopo che è finito tutto, che si è smesso di smaltire gomma di pneumatici ai margini della città con pochissime infrazioni al senso di efficienza del nostro florido Nordest, dodici chilometri. Di un binario morto. Mi chiedo ancora ogni volta, penso mentre percorro i dodici chilometri del binario morto della ferrovia, se mia moglie, perché Elisa bene o male è ancora mia moglie, e certo che è mia moglie, porco cazzo, mi chiedo ogni dannata volta che percorro questi dodici chilometri di binario morto, ogni mattina, se mia moglie che ogni mattina esce di casa prima dell’alba, con la camicia da notte bianca di prima dell’alba, e percorre nel buio con la camicia da notte bianca mossa dal vento nella notte prima dell’alba e si sdraia con la camicia da notte sul binario morto della ferrovia e aspetta che il treno le faccia rotolare la testa giù dall’argine e nel fiume, mi chiedo se lo sappia che il binario è un binario morto, se lo sa che è uno degli scempi assurdi dell’Italia centralista di Roma e porcodio questo binario morto della ferrovia costruito dentro l’argine del fiume come costruire un grattacielo sulle sabbie mobili da stronzi, mi chiedo se lo sappia mentre aspetta ogni mattina il treno che le butti giù la testa dall’argine e nel fiume, se un fremito la scuota, se pompi il cuore nella testa come un 16, se sbatta se s’incazzi, o se sta zitto, sospeso sulla nuvola al guinzaglio di espiazioni troppo acerbe.

Non conto i passi, ci ho provato perdo il conto, non sono pazzo non lo so, ma passo sulle traversine attentamente come sulle strisce pedonali un altro pazzo, penso mentre percorro i dodici chilometri del binario morto della ferrovia, due ore di buon passo o poco più, e passo sulle traversine dei binari perché i sassi fanno male ai piedi, i sassi della massicciata così alta, nello scempio dell’Italia centralista di Roma del binario dentro l’argine del fiume, penso mentre vado a riprendere mia moglie, fatto con una massicciata così alta, contro le piene del fiume, per uno scempio centralista mafioso, che non ha senso, il fiume, il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio.