Incipit
Il postino del paese era un uomo solitario, senza ambizione, che alla passione per i pensieri astrusi univa quella per le lettere d’amore. Le riconosceva senza aprirle, come se portassero impresso sulla busta l’impronta degli amanti. Ne aveva viste d’ogni tipo: eleganti, posticce, scritte dietro un volantino di campagna elettorale e su pezzi di carta igienica, sull’ultima pagina strappata di un romanzo o sulla carta del pane ancora sporca di farina. Le lettere d’amore che fanno diventare tutti poeti e che non fanno dormire, le lettere d’amore magiche che ripetono le stesse cose ma sempre con parole diverse, cesellate con cura come se l’imperfezione d’una lettera fosse più temibile del più temibile rivale. Le lettere d’amore che apriva più delicatamente, per ultime…
Tre ore e mezza prima della capitolazione di Colajizzu, il postino aveva ritirato e svuotato il sacco della posta per disporre le lettere secondo l’ordine di consegna. Di fronte a sé non c’era un munzìaddu di carta, ma un campionario di sentimenti umani: sogni irrealizzati, desideri inconfessati, promesse ritrattate, dichiarazioni sussurrate, ingiurie, ricordi, nostalgie, speranze: parole scritte in solitudine che attraverso di lui chicàvanu a destinazione, ed egli si inorgogliva di essere la fase finale e decisiva del compiersi di un destino…
Il postino di Girifalco era degno rappresentante di una categoria la cui lunga e decorosa storia risale addirittura a Ermete, argheifonte, deorum nuntium, figlio di Dio, messaggero occhio acuto e datore di beni, che calzando sandali belli e d’oro, sul mare andava simile a un gabbiano che caccia i pesci, portato dal vento, con in mano la verga che gli uomini affascina. Così il postino camminava per le vie della sua mappa quotidiana, e tra buongiorni, saluti ed ambasciate, pensava alla luna.
Visita il nostro canale Youtube
Visita la nostra pagina Facebook
Visita la nostra pagina Twitter
Visita il nostro profilo Instagram