Siamo lavorando per inviare a tutti i 926 concorrenti i giudizi sulle loro opere, una tappa fondamentale della nostra attività che richiede un grande impiego di risorse, ma è il nostro segno distintivo. E puntuali stanno già arrivando ringraziamenti e critiche alle quali come sempre risponderemo. Nel frattempo ci stiamo anche occupando di trovare uno sbocco editoriale ai nostri finalisti: di questo daremo notizia a settembre.
Oggi compaiono i titoli segnalati dal comitato di lettura del Premio (e non dalla giuria esterna che ha già terminato il suo impegno il 14 giugno decretando vincitore e menzioni tra i dieci manoscritti finalisti). Sono 29. La scelta non è stata facile perché parecchi erano i testi di qualche interesse. Abbiamo mirato alla qualità e alla varietà, dando anche riconoscimento a chi ha lavorato positivamente su testi già presentati e magari anche segnalati in precedenti edizioni. In particolare hanno qui trovato posto due opere scritte in un invidiabile italiano da giovani autori nati in paesi di migrazione come l’Albania e il Pakistan. È bello che anche in Italia si diffonda questo fenomeno già così vivo e vitale in altri paesi europei che significa, da una parte, integrazione e, dall’altra, apertura di orizzonti per gli italiani doc, fatto tanto più significativo in un momento in cui buona parte del mondo politico e dell’opinione pubblica si dimostra restia a quella che sarebbe un’ovvia misura di civiltà come lo ius scholae. C’è poi un testo di straordinario interesse, Nel marsupio della storia, dell’italo-etiope Maria Viarengo, che contribuisce a illuminare il rimosso del nostro passato coloniale. Sorprese che speriamo si facciano in futuro più frequenti.
Auspichiamo che tanti tra i segnalati vengano adocchiati da editori piccoli e grandi e possano così venir messi a portata del pubblico. Un augurio di buona estate a tutti coloro che ci seguono o collaborano con noi: autori, lettori, giurati, editor e editori. In particolare voglio ricordare la nostra più giovane concorrente Anna Peinetti del 2009 e i più anziani, Giuliana Capizzi del 1928 e Luigi Pignaris del 1929: per loro, penso, non ci possa essere miglior augurio se non di continuare a scrivere.
Mario Marchetti
IL CLUB DEI 29
Luca ALESSANDRINI (1964, PU), Mercurio
“per l’ironico garbo con cui è narrata l’esperienza di un novello Candide, semplice e ingenuo, nel mondo di oggi, tra lavori precari e bullizzazione, tra set pornografici e viaggio in India”
Lucio ANGELINI (1947, PU), Storyteller e il narratore onnisciente
“per il delicato e insieme trasgressivo gusto per una narrativa fantastica rivolta tanto ai bambini come agli adulti, che trova il suo veicolo espressivo in una lingua fresca e cesellata al dettaglio”
Giovanni BLANDINO (1987, FM), Animali italiani
“per averci consegnato un intelligente manuale di zoologia fantastica in chiave italiana sospeso tra sogno e realtà, tra nevrosi della psiche e burocrazia del sapere”
Michele BURGIO (1982, PA), U’ tortu
“per l’esatta radiografia di un ceto borghese ottocentesco siciliano, da cui germina un delitto nel torbido intreccio di conformismo e desiderio”
Francesco CANGIOLI (1991, PO), L’ultima neve dei pioppi
“per la suggestiva idea di due storie che si sviluppano in parallelo potenziandosi a vicenda, quella dell’uomo civilizzato odierno e quella dell’uomo in fieri in virtù dell’evoluzione”
Bibbiana CAU (1961, OR), Mallena
“per l’avvincente storia ‒ mix di tocco sociale e coloriture d’appendice ‒ di una llevadora del primo novecento in una Sardegna in bilico tra pratiche di cura tradizionali e moderne”
Francesco CENNI (1975, FI), Il cinema action
“per aver saputo trasformare un argomento di nicchia nello specchio di un’epoca, quella reaganiana, e del suo declino, star Sly Stallone”
Francesco COZZOLINO (1982, TO), Bullezzumme
“per la lingua onomaturgica con cui allestisce una divertita e divertente vicenda surreale che agita una città dall’inconfondibile sentore genovese”
Luca CRUCIANELLI (1981, BO), Gli esuli
“per la profondità psicologica e l’intelligenza emotiva con cui delinea il profilo di un moderno esule dalla vita, vittima di un amore disfunzionale, tradito nell’amicizia e nella cultura”
Giuseppe DEGRANDI (1975, MI), Benvenuto nel club
“per il registro stilistico che combina leggerezza e compassione nel narrare tante storie sulla difficoltà di vivere in un riuscito intreccio di fantasia e realtà”
Raffaello DI MAURO (1963, New York), 1934
“per la forza espressiva di una prosa impasto di dialetto, italiano e anglismi con cui viene messa in scena la Sicilia fascista, non senza incursioni in un’America filmica d’epoca”
Giacomo FIORI (1968, NO), L’eredità del prete immaginario
“per l’abile e gustosa costruzione di una vicenda paragiallistica a incastro escheriano ‒ tra oggi e inizio novecento ‒ con incursioni nella pittura e nella fisica teorica”
Loretta FRANCESCHIN (1951, PD), Confini
“per l’abilità costruttiva di un romanzo ricco di personaggi che con lingua limpida, ancora una volta, si inoltra con sensibilità ed empatia nell’universo della provincia veneta”
Marco GOEGAN (1984, MI), Possibilità apparenti
“per l’interessante tentativo di affrontare con cifra concettuale, in un amaro bildungsroman a rovescio, il tema delle scelte di vita per le nuove generazioni”
Valerio FUSI (1951, GR), Nel pomeriggio dorato
“per l’originale e divagante trattazione dell’amore nelle sue varie declinazioni, condotta con una lingua di grande eleganza e scioltezza”
Donato LOIACONO (1998, MI), Tartare di ragazzino ricco
“per la febbre espressiva con cui dispiega l’educazione sessuale di un adolescente di oggi diviso tra spavalda competizione coi pari e bisogno di affetto riversato nel mondo virtuale del porno”
Marco MINGHETTI (1963, MI), Ariminum Circus
“per la costruzione audacemente sperimentale di un romanzo ibrido, insieme lisergico e filosofico, volto a restituire la deflagrazione della contemporaneità”
Patrizio PAGANIN (1945, MI), Fuga senza fine
“per la grana ansiogena di una narrazione dal significato elusivo che mira a creare tensione per la tensione, proprio come avviene negli incubi notturni”
Roberto PERETTO (1946, VA), Il potente, cinico e narciso “feto alfa” che vuol distruggere mama Terra
“per lo struggente e inconciliato sguardo stretto sull’oggi, sul suo declino etico, da un autore che con voce inedita e spregiudicata non arretra di fronte a scelte narrative e stilistiche estreme”
Saif ur Rehman RAJA (1994, Rawalpindi), Né di qua né di là
“per l’occhio clinico gettato con lingua cristallina sulle due società, pakistana e italiana, da chi si è trovato spatriato senza avere scelto, apolide nella cultura e negli affetti”
Manuel RIGHELE (1974, VI), Non osi l’uomo
“per la piacevole levità con cui si dipana una commedia nera ambienta nel West, grazie a un ingegnoso montaggio, a dialoghi brillanti, a una scrittura ben padroneggiata”
Damiano Mirò SERAFINI (2000, FI), Aurora
“per la capacità di ricreare l’atmosfera asfittica dell’Urss della stagnazione dove tutti spiano tutti, in una vicenda di vendetta che coinvolge cultura alta e servizi segreti”
Rubens SHEHU (1986, Tirana), Dissoluzione
“per la rigorosa riflessione sul tema della morte imminente sviluppata con una lingua di grande nitore nell’ovattata cornice di una clinica sui monti affollata dai più diversi personaggi”
Enzo TATARANNI (1975, VE), L’albero nel sogno è finalmente fiorito
“per la dimensione onirica e simbolica con cui si sviluppa la storia di una famiglia per quattro generazioni toccando con sensibilità i grandi temi dell’esistenza umana”
Licia TUMMINELLO (1956, CR), Undici giorni
“per la stratificata analisi della crisi di una famiglia siciliana ormai borghese in concomitanza con l’epoca tellurica del ’68 e del terremoto del Belice”
Guido VAGLIO LAURIN (1956, TO), Quattro racconti (intorno a Torino)
“per la brillante intelligenza e la destrezza linguistica che emerge da testi che mimano con ironia i generi, dal giallo alla biografia alla fantascienza”
Maria VIARENGO (1949, Gidami-ETH), Nel marsupio della Storia
“per l’irrinunciabile recupero di un pezzo della vicenda coloniale italiana nel Corno d’Africa effettuato da un’autrice dall’identità plurale per storia di famiglia”
Roberto VIGLIANI (1977, TO), Il perturbante
“per aver saputo condensare in un racconto, con sobrietà di mezzi e lingua nitida, lasciando spazio al lettore, il confronto tra le vecchie generazioni della sicurezza e le nuove della precarietà”
Giuseppe VIROLI (1963, FC), Ottavo livello
“per la perfetta e sapida fotografia dell’impotenza burocratica di fronte agli interessi costituiti in un emblematico comune emiliano: la via d’uscita per il narratore è cambiare vita”
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