call racconti 2025

I vincitori di “Retelling”

martedì, 20 Maggio 2025

Sabato 17 maggio al Salone del Libro di Torino si è svolta la premiazione del call per la narrativa breve indetto per il 2025 dal Premio Calvino. Sono stati presentati i dodici racconti finalisti e si sono annunciati i tre vincitori: due selezionati ex aequo dalla giuria tecnica (composta da Isabella Ferretti, Francesca Mancini, Andrea Pagliardi, Franco Pezzini e Beatrice Salvioni), uno scelto dal pubblico, che ha potuto votare sul sito dell’Indice. L’incontro è stato preceduto dai colloqui di orientamento con gli autori tenuti dai membri del Direttivo.

La Giuria ha deciso di premiare a pari merito i racconti Come bramito di cerve di Irene Lonigro e L’Irreparabile di Viviana Veneruso. Questa la motivazione:

La Giuria del Call per la narrativa breve “Retelling” organizzato dal Premio Calvino insieme alla rivista “L’Indice dei Libri del Mese” e al Book Pride, preso atto di una generale buona qualità dei racconti pervenuti, decide di assegnare un Premio ex aequo ai racconti Come bramito di cerve di Irene Lonigro e L’Irreparabile di Viviana Veneruso.
Come bramito di cerve rielabora il romanzo di Olga Tokarczuk, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, spostando il fuoco della narrazione su un branco di cerve. La variazione di prospettiva assume qui un alto valore simbolico e punta a far emergere il lato femminile che si trova nella natura. Le suggestive scelte linguistiche contribuiscono a disegnare una connessione profonda fra essere umano, animale e natura uniti nel grande ciclo vitale di cui dolore e morte sono tratti ineludibili. In poche pagine l’autrice lascia il segno grazie a una forte struttura, alla potente intensità delle immagini, alla comunione di intenti rispetto al romanzo di partenza.
Nel racconto
L’Irreparabile, denso di immagini vivide, l’autrice evoca con lingua pastosa e feroce il mondo nero e bianco, cupo e marmoreo in cui vive una bambina cresciuta nel chiuso di un convento di suore e nell’inalterabile pratica dell’obbedienza. A sfaldare l’immutabilità e la coesione di questo universo arriva il terremoto – l’incipit è di Valeria Parrella della cui opera, Mosca più balena, si mantiene sguardo e ambientazione partenopea – che mette la protagonista a confronto con la fragilità delle cose umane, con il senso della perdita e con l’irreparabile bisogno di una via per espiare la solitudine.


Il premio del pubblico è andato invece a Polvere della giovane Anna Raucci, che partendo dall’inquietante personaggio di Merricat/Mary Catherine Blackwood, protagonista di Abbiamo sempre vissuto nel castello, scrive un prequel in cui vengono gettate le premesse del dramma gotico successivo. Un abile retelling in cui l’autrice dimostra di essere entrata nelle pieghe riposte del romanzo di Shirley Jackson e di essersi perfettamente immedesimata in Merricat bambina. Notevole la sua abilità narrativa, il suo dominio dei dettagli, degli snodi e dei rimandi interni e la sua ottima padronanza della lingua. Un racconto, Polvere, che possiede una bella autonomia che lo rende di per sé godibile alla lettura.

Ringraziamo ancora una volta gli autori per aver partecipato, e ricordiamo che sul numero di giugno dell’Indice comparirà uno speciale dedicato al retelling, che includerà anche i tre racconti vincitori.


Di seguito il commento del presidente Mario Marchetti.

Il tema del Retelling, “Adotta un incipit o un personaggio e narra… a modo tuo”, è stato accolto con interesse e consapevolezza dai concorrenti: ci ha colpiti il buon livello medio delle proposte e il loro variegato ventaglio. Per cominciare, alcune considerazioni basate sul campione dei 38 testi semifinalisti: innanzitutto una certa preferenza per l’opzione “personaggio”, in cui i margini di manovrasono più sottili e complessi coinvolgendo l’opera di riferimento nel suo insieme; in secondo luogo, com’era peraltro prevedibile, una diffusa tendenza ad attingere alla narrativa angloamericana e, in minor misura, britannica: immancabili Il giovane Holden e Bartleby lo scrivano come Harry Potter e l’incipit “Era una notte buia e tempestosa”, considerato uno dei più brutti della letteratura universale o, in alternativa, un attacco memorabile dopo il quale tutto può accadere (copyright Guido Almansi). Ma non potevano neppure latitare le presenze sudamericane ormai entrate nel comune bagaglio di letture. Quanto alle fonti italiane − seconda ispirazione per i nostri avventurieri della narrazione − compaiono sparsi autori ormai canonici del secondo Novecento, in particolare Calvino, ma anche qualche più recente ingresso, come Valeria Parrella. Curioso e nuovamente attuale l’interesse per le figure del mito greco come il richiamo alla tradizione biblica. Assenze significative: tutto il non-Occidente, esclusa l’America latina, e dell’Occidente le sue dépendance globali e quasi l’intera Europa a parte Francia, UK e Italia, ovviamente. Quadro interessante, non privo tuttavia di ombre, che sollecita a ulteriori indagini e approfondimenti.

Ma veniamo ai racconti finalisti. Hanno scelto l’opzione “incipit” Stefano Adesso, Alessandro Agnese e Viviana Veneruso. Il primo, nel suo La nuda proprietà, ha preso le mosse da Città sola di Olivia Laing mantenendone l’atmosfera urbana di isolamento e solitudine, ma sviluppando un ordito creativo in cui sono in gioco, per la vita e per la morte, in un reciproco incrociarsi di sguardi, l’anziano che ha in usufrutto l’alloggio e l’immigrata turca che lo ha acquistato in attesa che si liberi dell’ingombrante inquilino. Il secondo in La guerra funziona così, ha saputo cogliere con talento mimetico lo spirito e l’espressività di Mark Twain e delle Avventure di Tom Sawyer, introducendovi, come elemento dinamico di differenza, la presenza, nella banda di ragazzini dedita alle monellerie, di una “femmina” con il suo affettuoso rapporto col fratello e la sua aspirazione a essere considerata alla pari di un “maschio”. La terza, ne L’Irreparabile, con l’ausilio di una lingua elegante spruzzata di regionalismi, è riuscita a riprodurre l’aura di palpitante e non stereotipata napoletanità di Mosca più balena di Valeria Parrella, pur discostandosene originalmente nella trama: una trovatella ospite di un convento, nell’abbracciare il crocifisso rovinato a terra per il terremoto, prova infine un senso di appagamento.

Gli altri nove racconti si sono, invece, orientati sull’opzione “personaggio” declinata con apertura inclusiva: ci sono perfino cerve e galline… E cominciamo proprio dalle galline di Un guscio vuoto di Mauro Bennici. Qui galeotto è stato The Chicken Chronicles, il vivido memoir sull’infanzia di Alice Walker, autrice dell’acclamato The Colour Purple. Anche gli animali hanno bisogno di calore e affetto, ci viene suggerito, e quando l’inserviente umano del pollaio sarà sostituito da un robot, Gloria si rifiuterà di svolgere il suo compito di ovaiola, ma mal gliene incoglierà. Le animalesse di Come bramito di cerve di Irene Lonigro, racconto ellittico e perturbante ispirato a Guida il tuo carro sulle ossa dei morti di Olga Tokarczuk, sono esseri misteriosi come misteriosa e suggestiva è la scenografia in cui si muovono, ben incuneata nell’opera matrice di cui, pur nella devianza narrativa, viene conservato il mood antispecista con l’additivo di un tocco di femminismo animale. Ancora un essere non umano, un grande pesce pelagico, appare ne Il vecchio marlin e la piccola ombra scura di Ilaria Minelli, che prende spunto dall’intramontabile Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, capovolgendone il punto di vista; e così vediamo le cose dal basso, dove all’occhio del marlin l’imbarcazione del pescatore assume l’aspetto di un’ombra minacciosa sulla volta marina. La sua lunga esperienza non lo salverà e da predatore si farà preda e vittima sacrificale. Ersilia Crisci e Andrea Manenti, a loro volta, ci propongono due rivisitazioni di personaggi del mito, a riprova dell’inesauribile potere simbolico della materia classica. Crisci, nel suo pezzo La preferita, rielabora, con vivace scrittura moderna e operando sulla variante tramandata nelle Metamorfosi ovidiane, la vicenda di Callisto, invaghita di Artemide e violata da Zeus: una sensibile trama di amore al femminile tra comprensione e incomprensione complicata dall’insidioso intervento del maschio di turno, nel caso l’onnipotente sovrano degli dei. Manenti, in Orfeo2025, rinnova con grande libertà e in chiave contemporanea, la storia del seduttivo musicante e della sua amata Euridice. Qui, con una lingua luminosa e cangiante, sorprendente nei troncamenti gergali, Euridice − che non si sente proprietà di nessuno − non aspira a essere salvata, ma fugge di sua volontà, mentre Orfeo è nostalgicamente rivolto alla felicità perduta, al possesso di lei. Di idillio invece inaspettatamente gioioso, in una cornice manicomiale, si tratta nel liricheggiante Fiorire contro i muri di Alessandro Di Domizio, ripercorso sulla traccia del memoir autobiografico di Alda Merini, L’altra verità. Diario di una diversa. Al centro di una prosa frammentata c’è Pierre, ricoverato nel reparto maschile, che verrà trasferito quando si scoprirà il suo scandaloso, per le asfittiche norme dell’istituzione, rapporto con la poetessa. Con Polvere di Anna Raucci ci troviamo di fronte all’impeccabile e mimetico prequel di Abbiamo sempre vissuto nel castello della raffinata scrittrice gotica Shirley Jackson: il personaggio scelto è Merricat, ovvero Mary Catherine Blackwood, bambina bizzarra che con pratiche macabre e superstiziose tenta di difendere la magione avita e la famiglia dall’assalto della realtà esterna, ma non si sente capita e finisce col mettere a dimora, intuiamo, i semi del risentimento. I due più giovani finalisti, entrambi del 2001, ci offrono – concludendo − due racconti dai tratti etici. Manlio Garofalo in Lo Zoo delle Professioni Perdute sceglie come protagonista lo scrivano Bartleby di Herman Melville. L’idea è stuzzicante: sulla scorta delle esposizioni etnografiche delle razze che imperversavano in Europa tra fine Ottocento e primo Novecento, l’autore immagina, in un mondo androide ormai del tutto ingegnerizzato, un parco dedicato ai mestieri dell’era umana, dove come esemplare di copista viene arruolato e recita Bartleby. Ma questo, di fronte alla provocatoria richiesta di un magnate dell’I.A., risponde con la celebre battuta “Avrei preferenza di no”, sottraendosi così a un atteggiamento di servitù volontaria. Mattia Esposito in Le anime stanche riprende con acribia espressiva e psicologica il personaggio del servo Petruška che nel romanzo di Gogoľ Le anime morte accompagna il padrone Čičikov nei suoi loschi giri per le sterminate campagne russe. Per intercessione della Madonna ottiene di non provare più l’estenuante fatica del lavoro, ma la sensibilità perduta coinvolge ogni tipo di emozione, anche quelle belle. E Petruška, quando tornerà a sentire i crampi della fame, benedirà il Signore. Insomma una parabola sull’ecologia dei sensi e una riflessione, in sedicesimo, sulla complessità, dove tutto si tiene, bene e male, positivo e negativo.

E per noi − al termine della lettura di questi racconti − una lezione sulla complessità dell’immaginario, non riducibile, per buona e libertaria sorte, all’unità.

Mario Marchetti