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A GIOCHI CONCLUSI 

venerdì, 15 Luglio 2022

UN RAPIDO BILANCIO DELLA XXXV EDIZIONE

Ce l’abbiamo fatta. Siamo tornati alla tradizione: in presenza e al Circolo dei Lettori. E nel corso della cerimonia di premiazione, sempre secondo tradizione sono stati presentati tutti i testi e gli autori giunti in finale: dieci scelti tra 926 concorrenti, cinque donne e cinque uomini, in perfetta parità pur senza una voluta pianificazione, provenienti dalle varie regioni italiane con una certa prevalenza del nord. Ma tanti altri ci hanno inviato manoscritti pregevoli. I più interessanti saranno segnalati a cura del comitato di lettura; tra questi, particolari per la significatività civile della loro testimonianza: Il marsupio della storia dell’italo-etiopica Maria Viarengo sul nostro passato coloniale e Né di qua né di là del pakistano Saif Ur Rahman sulle nostre pratiche razzializzanti sia pur sotto traccia.

     Ancora un rapido accenno ai tanti riconoscimenti e apprezzamenti ricevuti per il nostro lavoro. Mi limito a ricordare solo i più recenti: dei dieci finalisti della XXIV edizione sette sono stati pubblicati nei primi mesi del 2022; la palma al Campiello Opera Prima andata a Francesca Valente, vincitrice della scorsa edizione del Premio con Altro nulla da segnalare, pubblicato da Einaudi nell’innovativa collana “Unici”; la presenza di Veronica Galletta, autrice calviniana del 2015, nella cinquina allargata dello Strega di quest’anno; il premio POP a Maddalena Fingerle e il Kihlgren Opera Prima a Giulia Lombezzi, per La sostanza instabile; la recensione del critico Daniele Giglioli alla Vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera sulla “Lettura” del 12 giugno, quasi un’incoronazione per il nostro Alberto Ravasio; la presenza di ben quattro nostri autori su cinque al Premio Megamark 2022: Alberto Ravasio e Francesca Valente con i titoli appena citati, Riccardo Capoferro con Oceanides e Elisabetta Pierini con La casa capovolta; la presenza di Pier Lorenzo Pisano con Il buio non fa paura tra i finalisti del Premio Letterario Nazionale Opera Prima “Severino Cesari” e quella di Davide Rigiani con Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino, menzione speciale del Direttivo della XXXIII edizione, nella cinquina finalista del Premio Berto.

   Ma veniamo ai manoscritti giunti quest’anno in finale. Quali i tratti di maggior rilievo tra di essi, al di là degli stili e delle scritture di cui è possibile avere un assaggio grazie ai video di presentazione disponibili sul nostro sito? Cerchiamo, a fine partita, di tracciarne un sintetico profilo:

→ un diffuso sentimento di riluttanza, in particolare da parte delle voci femminili, che si sentono coartate nei costrutti di ruolo e di comportamento ed anche affettivi (si vedano Croste di Jessica La Fauci e Quasi niente sbagliato di Greta Pavan). Ma un’inquietudine esistenziale emerge anche nel protagonistamaschile di Un chiodo storto di Stefano Casanova

un intenso coinvolgimento, poi, rispetto ai rapporti intrafamigliari: in un mondo in cui l’orditura collettiva è venuta in gran parte meno se non nelle sue variegate forme virtuali, la famiglia, per quanto segnata da incomprensioni e conflitti, conquista o riconquista il focus narrativo, essenzialmente come struttura psicologica, se non anche psichiatrica, e affettiva (si vedano Sono d’acqua i nostri pensieri di Loretta Franceschin, Risacca di Francesco Marangi, La favola racconta che di Rita Siligato)

→ tutto ciò non implica la mancanza di una critica lucida e radicale rispetto alla sfera politica e alla macchina sociale e ai miti e riti contemporanei, che viene anzi considerata come ovvia; e così ormai il precariato sociale e lavorativo è sentito come un dato di fatto, come qualcosa di naturale persino, e addirittura come un dato di fatto è sentito il crepuscolo, se non la fine, del nostro mondo (si vedano Quasi niente sbagliato di Greta Pavan, La scelta di giulio Natali, Tanto poi moriamo di Marianna Crasto)

→ né mancano in qualche testo le tonalità ironiche, divertite e divertenti, declinate comunque all’interno del quadro tracciato (I calcagnanti di Niccolò Moscatelli e Vita e martirio di saro Scordia, pescivendolo di Giorgio B. Scalia).

Ma vanno soprattutto sottolineati due aspetti che emergono da una lettura d’insieme dei manoscritti finalisti, ed è stata anche per noi un’inaspettata e bella sorpresa:

una straordinaria geografia dell’Italia non solo come sfondo ai testi ma talora quale autentica protagonista. Dall’hinterland lombardo a quello napoletano alla grande provincia marchigiana, dal Veneto della montagna alla Liguria collinare, dal Polesine di qualche decennio fa alla Palermo della Vucciria, per non dire delle più defilate Genova e Trieste, si staglia un quadro ricco e variegato delle cento italie nella sua attualità

una singolare valenza etica: al venir meno della dimensione politica e al connesso eclissarsi di orizzonti di cambiamento, si risponde con prospettive che fanno perno sull’individuo e sulla sua possibilità ‒ sempre ‒  di optare per la dignità e il rispetto di sé, intesi anche come sottrazione alle consegne sociali di omologazione e ubbidienza: dal mite pescivendolo Saro al chiodo storto Osvaldo, dall’inconciliata protagonista di Quasi niente sbagliato all’altrettanto inconciliata protagonista di Croste, dalla bellissima e sgrammatica Paola della Scelta alla libera Adelia di Sono d’acqua i nostri pensieri, dalla bambina Teresa della Favola racconta che al fantasticante trovatello Timoteo dei Calcagnanti (ma anche la cassiera di Tanto poi moriamo e Pietro di Risacca tengono al rispetto di sé, pur in strutture narrative che non prevedono alternative). Un segnale per il futuro o forse meglio per il presente?