Alberto ALBERTINI (1966), Non è più il mio circo
→
“per la rinnovata stesura del romanzo in cui si declinano le conflittuali
aspirazioni manageriali e letterarie del protagonista sullo sfondo delle
modificazioni avvenute nel mondo aziendale”
Bruno ALESSANDRO (1959), Titerama
→
“per l’efficace commistione di azione e complessità scientifica in una vicenda
che da oggi si proietta in un futuro non troppo lontano, tra lotte di potere,
astrofisica e spiritualità tibetana”
Giorgio BALDISSERRI (1961), Orient
→ “per la perfetta
antropologia di una cooperativa di tipografi emiliani tra anni Settanta e
inizio del nuovo millennio, scritta con lingua di precisione chirurgica, tutta
cose, spruzzata di misurate e ironiche accensioni”
Silvia BRIZIO (1953), Non sei tu
→ “per il tentativo
di scavare con lingua serrata nell’illusione di tanti genitori odierni di aver
creato un privilegiato rapporto di comprensione con i propri figli, che invece
sfuggono, e talora con scelte estreme”
Gianluigi BRUNI (1954), Luce del Nord
→ “per l’abilità
descrittiva e l’autentica partecipazione con cui si rappresenta un microcosmo romano
di inutili al mondo, a ciascuno dei quali si sa dare voce propria, non senza notevoli
rese espressive”
Pietro CAZZANIGA (1973), Gli ultimi giorni del capitano Parat
→ “per la levità di
tocco nel tratteggiare un episodio d’invenzione, dalle soffuse venature
esistenziali, ai tempi della persecuzione dei valdesi nelle valli del Piemonte per
mano delle truppe del re Sole”
Silvana L. CONVERTINI (1963), Istruzioni per il sosia
→ “per l’inventività
dell’escamotage narrativo ‒ un uomo stanco e disilluso prima di abbandonare la
famiglia progetta di individuare un proprio sostituto ‒ e per la ricchezza
dell’analisi psicologica che lo innerva”
Andrea FONTANA (1974), Il soccorritore
→ “per la sottilmente
ambigua anatomia di un miracolo dall’incerta consistenza e dei suoi riverberi
sull’esistenza di un laico”
Loretta FRANCESCHIN (1951), Bella e di lunghi capelli
→ “per la grande
finezza psicologica e di scrittura e per l’intensità con cui si rievoca l’evento
di un suicidio adolescenziale in una costellazione famigliare di media
borghesia virtuosa”
Alessandra GUARNERO (1968), Un uomo pericoloso (G. R. Lanza: alla ricerca di un artista)
→ “per la scrittura
sobria e precisa e per l’acribia analitica con cui si indaga su un artista finito
nella deriva della memoria, del quale rimangono sparsi ricordi, documenti ed
oggetti”
Ciro LENTI (1963), Il volo della talpa
→
“per la vivezza di lingua, la godibilità e l’originalità di una costruzione
narrativa in cui il protagonista incompetente della vita diventerà ironicamente
uno che dei fallimenti degli altri riuscirà a vivere”
Flavio MENARDI NOGUERA (1953), Narbona
→ “per la scrittura
calibrata, soffusa di contenuta malinconia, con cui si sviluppa il tema
dell’abbandono degli antichi borghi, in un susseguirsi di episodi inanellati a
formare un eccellente quadro d’insieme”
Pierpaolo MOSCATELLO (1995), Così piccolo da scomparire
→ “per
l’umanità e la capacità immaginativa che pervade una delicata trama di amicizia
tra un ragazzo obeso e una ragazza senza voce, in un’atmosfera fuori del tempo
dalle sfumature surreali”
Enrico RENZI (1969), La tomba Pascucci
→ “per l’energia affabulatoria
e di lingua con cui si affresca la rocambolesca storia ‒ una sorta di epica in chiave
minore ‒ dei fratelli Pascucci, tombaroli di vecchia tradizione nella
misteriosa terra etrusca”
Roberto RISSO (1978), L’ultima torre
→ “per la rara
capacità visionaria e la precisione di scrittura con cui si descrivono la
difficile e drammatica sopravvivenza in una Torino postuma, devastata ormai senza
remissione, e i suoi variegati protagonisti”
Carlo RUSSO (1956), La trovatura del Santuario della Beata Vergine Addolorata
→ “per il passo
disteso, la cifra umoristica e l’incanto con cui si racconta un paradossale episodio
di devozione e di micropotere nell’eterna provincia siciliana”
Nicoletta SALOMON (1967), Tredici anni
→
“per la nitidezza di scrittura con cui si dà voce alla prospettiva sulla vita,
alle emozioni e agli affetti di una giovanissima adolescente”
Claudio UGUCCIONI (1959), La verità sospesa
→ “per l’avvincente
talento e la competenza con cui si dipana una vicenda, dalle tinte gialle, in
cui il glorioso passato scientifico gesuitico riemerge con forza nel presente”
Ruben TRASATTI (1992), I figli degli ignoti
→ “per il tentativo,
pur ancora acerbo, di fondere in un’ossessiva visuale ‒ sulla campitura di un
futuribile e impietoso conflitto planetario e di un universo ormai fuori sesto
‒ il tema identitario e il tema della morte”
Roberto ZAMBON (1985), Vero cuoio
→ “per l’efficace
mimesi con cui vi si raffigura il mondo del rugby con i suoi riti e i suoi
miti, con le sue pratiche e i suoi diversi tipi umani e con la sua estrema rudezza
di linguaggio”
Si
segnalano poi i racconti
Amour di Loris RIGHETTO (1979)
→ “per il singolare
triangolo tra un adolescente, una pornodiva virtuale e una commessa, schizzato
da una enigmatica voce narrante nella cornice di un sex shop”
L’alternativa del cavaliere di Alberto GENOVESE (1955)
→ “per la qualità
linguistica, l’ironia maliziosa e la vaga malinconia con cui si indaga
sull’origine del detto siciliano o
futtiri o vasari”
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