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Il Premio Calvino e la Treccani – Incontro a Roma

venerdì, 19 Ottobre 2018

Martedì 6 novembre alle 17, presso l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana di Roma, si terrà l’incontro “Creatività e innovazione linguistica nella narrativa italiana del terzo millennio”, nato dalla collaborazione fra Treccani e il Premio Calvino.

Con Maria Teresa Carbone, dialogano Valeria Della Valle, Paolo Di Paolo, Luca Doninelli e Giorgio Gianotto.

Conclude l’incontro una conversazione di Vanni Santoni con Giulio Nardo, vincitore della menzione Treccani della XXXI edizione del Premio Calvino.

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BRUNO TOSATTI – POLPETTE, MUMMIE E ORECCHIE A PUNTA

lunedì, 23 Luglio 2018

Dell’esperienza del Calvino ricordo:

L’ansia che mi mise la telefonata con cui Mario Marchetti mi spiegava come si sarebbe svolta la premiazione, in particolare il fatto che agli autori sarebbe stata data la parola per parlare del proprio libro.

Il ritratto di Nikola Tesla con le orecchie a punta appeso nella sala dell’albergo in cui ero ospite.

Le polpette della polpetteria di fronte all’albergo, oltre al cabinato con tutti i classici da sala giochi degli anni Ottanta.

Damiano che viene a prenderci per accompagnarci al Circolo dei Lettori, e quando fa l’appello e io rispondo, per prima cosa mi dice: «È assolutamente impubblicabile, ma il tuo libro mi è piaciuto molto».

Il Circolo dei Lettori, un posto dedicato ai libri che non è né una biblioteca né una libreria.

Le scanalature delle lesene del salone in cui si è svolta la premiazione: per metà concave, per metà convesse (per cui immagino che non si possano chiamare proprio scanalature).

Il sollievo per non aver fatto una figuraccia quando è toccato a me parlare.

La curiosità che mi è venuta quando sono stati letti alcuni passaggi dei libri dei miei colleghi. Non vedo l’ora di trovarli in libreria per poterli leggere.

La chiacchierata di fine serata, in un locale a San Salvario, sui luoghi dell’esoterismo di Torino, che – non lo sapevo – è l’unica città a far parte sia del triangolo della magia bianca, sia di quello della magia nera.

E poi il giorno dopo al Museo Egizio quando, mentre sto guardando una mummia, una ragazza e un ragazzo che avevano assistito alla premiazione mi salutano chiamandomi “Talib”.

FILIPPO TAPPARELLI – E LA VOCE RIDE…

lunedì, 23 Luglio 2018

Quando un numero sconosciuto ti chiama il ventidue aprile alle diciassette e sedici si tratta, poco ma sicuro, di qualcuno che vuole farti cambiare operatore telefonico. Queste telefonate ho imparato a riconoscerle, ormai. Le sento dal vibrare del telefono. Credo ci sia una postilla di un versetto del Deuteronomio che dice proprio questo: Ti chiameranno mentre stai guidando e saranno venditori di abbonamenti. Quindi non ti aspetti che si tratti di una voce sconosciuta che si presenta come Mario Marchetti, presidente del Premio Italo Calvino, e ti dice che sei stato scelto tra i finalisti. Ti tocca ingoiare il tuo preconfezionato «grazie, ma mi trovo bene con Telecom» prima che ti esca dai denti.

Ricordo che la mia prima frase dopo l’annuncio è stata: «Porca vacca!». Non me ne vergogno: da veneto avrei potuto dire di peggio.

Comunque, quando ti chiama il Presidente del Premio Italo Calvino, un paio di colpi il cuore li perde. Poi li ritrova, ma nel frattempo tutto quello che accade è più materia parapsicologica che scientifica, perché diciamocelo: uno, quando partecipa a un premio, non pensa mai di poterlo vincere. O meglio, un pochino sì, ma per mantenere un briciolo di sanità mentale diluisce quella speranza in un mare infinito pieno di «lo faccio solo per la scheda di valutazione». Quindi, la possibilità di trovarsi in finale diventa così surreale che gli aghi nascosti in tutti i pagliai del mondo in confronto sono una faccenda a portata di mano.

Tutto questo accade in venti minuti di telefonata nella quale l’ormai-non-più-operatore-Vodafone ti spiega che il ventidue maggio dovrai essere a Torino, al Circolo dei Lettori, a vedere se il tuo sogno più irraggiungibile si avvererà. E quella voce lo dice a me, che Torino è talmente al di là delle mie colonne d’Ercole che manco mi escono i paragoni. A me, lo dice. A me che non viaggio manco se mi pagano, perché sono stato cresciuto a Non esiste mondo fuor dalle mura di Verona; ma solo purgatorio, tortura, inferno. Credo di aver chiesto in un paio di occasioni se non c’era – per caso, dico, non si sa mai − un errore. Credo che la voce si sia messa a ridere altrettante volte.

Arriva il sedici maggio e la notizia esce sul sito del Premio e rimbalza sui giornali: allora non si sono sbagliati, penso. O forse lo hanno fatto davvero in maniera grandiosa e si ricrederanno. Il sedici sera comincio a pensare ai biglietti del treno. Il diciassette controllo tutte le previsioni meteo possibili. Il diciotto cerco di stabilire come vestirmi, un po’ come Totò e Peppino in quel film in cui andavano a Milano, sudatissimi, avvolti in improbabili pellicce. Il diciannove chiedo ferie, ma è sabato e il mio superiore mi domanda se sono pazzo. Il venti penso di essere ammalato. Il ventuno svengo. Mi riprendo il giorno seguente, giusto in tempo per cercare di prendere il treno, che perdo con puntualità.

Poi inizia un giorno incredibile, in cui ancora oggi mi vedo dal di fuori.
Il ventidue, alle diciannove e trenta, la voce che apparteneva davvero a Mario Marchetti annuncia che il romanzo che ho scritto ha vinto la trentunesima edizione del Premio Calvino. Io che non ho mai vinto nulla, tranne il set di centrini color verde fastidio a una pesca di beneficenza nel maggio dell’ottantasette. E lo fa davanti a un sacco di gente che applaude, tra cui persino molti addetti ai lavori.

Sono cose che lasciano il segno, ci potete scommettere.

Ogni tanto chiamo Mario Marchetti e gli chiedo se non ci sia stato un errore.

E la voce, come la prima volta, ride ancora.

MARINELLA SAVINO – LA TELEFONATA NON L’HO AVUTA

lunedì, 23 Luglio 2018

Io non rispondo al cellulare.

Non è che non risponda per partito preso. È che proprio non lo sento. Non che sia sorda, no… Non lo sento perché mi devo salvare in qualche modo. E, per salvarmi, il mio cervello ha sviluppato un meccanismo di autoconservazione che si attiva appena il cellulare comincia a squillare, producendo una notevole riduzione del mio senso dell’udito. Questo meccanismo ha cominciato a funzionare poco dopo la messa in vendita della mia casa in un sito immobiliare su internet. Mi verrebbe da dire “non l’avessi mai fatto!”, ma che lo dico a fare? Tanto, il cellulare suona lo stesso.

Non sono gli ipotetici acquirenti a telefonare, quelli sono pochi, con questi chiari di luna… I milioni, bilioni, trilioni di telefonate arrivano dalle agenzie immobiliari da me mai invitate ad aiutarmi a vendere casa. Si autopropongono. Dalle nove del mattino fino a sera inoltrata. Con un’insistenza a dir poco imbarazzante. Una delle ultime volte che ho risposto a un numero sconosciuto sono stata vittima di una vera e propria aggressione a cellulare armato. Ho cercato di difendermi, ho accusato l’agente immobiliare di essere uno stalker ma, poi, mia figlia, presente alla telefonata, mi ha fatto notare che l’agente voleva a tutti i costi la mia casa, non me, e quindi non si trattava di stalking, ma di petulanza immobiliare. Ok, va bene.

Allora, io non rispondo.

I miei amici e conoscenti, ormai edotti sul caso, utilizzano mezzi di comunicazione avanzati e di fortuna per parlare con me: messaggeria istantanea, mail, segnali di fumo, piccioni viaggiatori, telepensiero. Quando sono all’estero, spesso, nell’ultimo periodo, la situazione non migliora, come chiunque si aspetterebbe. Alle agenzie immobiliari, si aggiungono tutti quelli che, quando sono a Roma, non mi si filano per niente. Appena scendo da un aereo, in territorio Schengen o meno, tutto il mondo a me sconosciuto sembra affollarsi intorno al mio cellulare per conoscermi o dirmi qualche cosa.

Ovviamente, fino al 27 di aprile di quest’anno, tra quelli che non mi si filavano per niente, c’era il Premio Calvino. Due romanzi inviati negli anni precedenti, una scheda di lettura, una segnalazione… che ti aspetti, Marine’? Niente. Appunto. Certo, agli inizi di aprile la mia mente era andata nei dintorni del Premio… due passi a sbirciare il sito, altri due a farsi il conto dei tempi tecnici…: “a maggio o giù di lì faranno le telefonate ai finalisti… forse…”

A maggio. Ai finalisti. Appunto. Mica a me. Così, ad aprile ero ad Atene. Quasi non mi sembrava vero di girare per Kolonaki indisturbata. Gioiellerie che neanche a Parigi, antiquari con komboloi d’epoca indescrivibili, musei pressoché gratuiti, euzoni imperturbabili e perfettamente sincronizzati nel cambio della guardia davanti al monumento del Milite Ignoto, e ancora: kataifi, loukoumades, baklava… un tripudio di grecità! Il meccanismo di autoconservazione lavorava per me, il cellulare suonava, io non lo sentivo e non rispondevo. Però un occhio ogni tanto alle notifiche delle mail… quello sì… Perché la coscienza si tacita anche con un occhio alle mail. La posta elettronica è un sistema di comunicazione molto democratico e quasi per nulla invasivo. Elimini la suoneria, scegli tra posta evidenziata e altra, imposti la ricezione con la notifica sul display del cellulare e la vita riprende a scorrere serena come prima degli stalker immobiliaristi. Ma io in matematica non sono mai stata un portento. E i conti non fanno per me. Infatti, nonostante la democrazia e la poca invasività del sistema di comunicazione mail, un fondamentalista immobiliare s’era impadronito non so come della mia mail e mi mandava una mail un giorno sì e l’altro pure due…

Tale m.marchetti. Così, alle 12:40 del 27 aprile, quando ho visto sott’occhio ancora una volta il cognome MARCHETTI… ho pensato seriamente di salire di corsa sopra l’Acropoli per sotterrare il cellulare sotto gli improbabili resti della colmata persiana. Però, se in matematica non vado forte, con l’occhio sono lesta. E ho visto che, dopo la m. e prima di marchetti, c’era qualcos’altro. Un altro nome. Ugo? Apro la mail:

MARCHETTI/PREMIO CALVINO

Gentile Marinella Savino,

da parecchi giorni la cerco sul suo cellulare (**********) senza riuscire a contattarla. Mi chiami, per favore, al seguente numero quanto prima per comunicazioni urgenti: **********.

Cordiali saluti, Mario Marchetti

Ecco.

In quel momento, folgorata sulla via di Kolonaki, ho messo insieme due date e ho pensato che due erano le cose: o il Presidente del Premio Calvino s’interessava anche lui d’immobili o ero in finale. E io non avevo risposto al cellulare. Come si reagisce a una cosa così? Non si reagisce, si simula una reazione. Si compone il numero indicato, con calma. Per prendere tempo, come se non te ne fossi preso già abbastanza. Mentre il cellulare squilla, si fanno due conti della serva a mente sulla scusa meno balorda atta a giustificare la tua scomparsa dal pianeta da chissà quanti giorni, si inspira profondamente e, al Pronto… del Presidente del Premio Calvino, si sfodera la voce più innocente mai avuta. Falsa, falsissima. Saluti, abbozzi qualche scusa miserrima, adduci motivazioni senza senso, ringrazi, rispondi alle domande di un uomo misurato e gentilissimo, mentre nella tua testa rintoccano, lugubri, impietosi pensieri di colpa: tu quella telefonata non l’hai avuta… perché tu al telefono non rispondi. Tu sei l’unica della storia del Premio Calvino che non l’ha avuta quella telefonata. Perché tu al telefono non rispondi… Tu… la telefonata…

 

 

 

NICOLA NUCCI – ECCOTI FLIPPATO

lunedì, 23 Luglio 2018

Butto giù un colpo di tosse, una canzone moderna, un’estate, un nulla di fatto, uno starnuto, un testo teatrale coi fiocchi, cavolo!, suona che è una meraviglia, roba da malati, storia da libro degli orrori, ma io ci sto dentro a quella stanza degli orrori − roba sterilizzata ben bene, finestre ariose, − tipo centro di recupero, tipo uno sputo che ti proietta a ridosso di quel cono d’ombra che…, all’improvviso mi piglia lo schiribizzo di telare via, e invece no, devo rimanere, “mica puoi muoverti, eh”, tipo segregato, tipo “disintossicazione”: dosi finite, pulito!, “ne uscirò da bravo damerino” penso tra me e me, e intanto schizza via un altro inverno, o foglio, o scracchio d’inchiostro che… notte bigia: reggimento di soldati scalzi, lanterne fioche disseminate come mine, “basta tenere duro un altro po’” che le munizioni sono terminate e io non sono una specie di chimico o qualcosa del genere quindi la roba me la devo fabbricare allampo per conto mio, ed è così che faccio, ammaestrato coi gusci buoni, addobbato per le feste, o per morire, e difatti principio subito a perdere un mucchio di sangue − sagome tetre aggrappati a muri obliqui, battiti di mani mancati, − “per gli altri è stato tanto difficile?”, “per quello lì non deve essere stato tutto ‘sto difficile!”, odo i rintocchi di un altro valzer di lancette, tipo coltelli che si conficcano…, tipo non lo so: un sacco di fame, la gestisco facendo brillare un altro istante, ne esco conciato malissimo del tipo mi mordicchio le labbra, butto giù tutta la rogna che ho dentro…, che poi mica è una cosa tanto dissimile da togliersi un rene, da vomitare, da rinascere… giudizi sparsi di amici o presunti tali: “dove vai così conciato!”, “non si capisce un cazzo!”, “e le note?”, “ma non c’avevi nulla di meglio?”, “tutto scollegato!”, “si parlano troppo addosso!” “perché non hai scritto una caspita di storia d’amore?!”, “i punti, le virgole, i punti e virgola”, “una cosa un sacco avanti… troppo avanti”… eppure continuo a proseguire diritto, quasi imperterrito, Premio Italo Calvino racconta quell’insegna ronzante che ci penso anche un po’ su, flippato come mi sento, non lo so, una sorta di radiografia, “come stai?”, sto bene, sto male, non so proprio come dovrei stare, perché prima o poi arriva il momento in cui cominci a fraternizzare con tutto il tuo buio, non lo so: ci giochi, scrivi un libro, ci dai dentro coi distorsori musicali e via discorrendo… fino a che non ti viene a pigliare quel primario che…, ti conduce in quella sala piena zeppa di cavi elettrici e buoni propositi, essì, ecco che riemergi più sfasato che mai, sei tu?, non sei tu?, forse uno che ti somiglia, no che non sei tu!, eppure gorgheggi “Trovami un modo semplice per uscirne è stata un po’ una scommessa”, del tipo arte moderna, o riff elettronici o sterco di triceratopo, e intanto ti trafiggi la vena con ‘sto bendidio… eccoti, flippato dalla poesia che profuma di giorni claudicanti.

Adesso sì che sei proprio tu.