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Yasmin Incretolli

mercoledì, 4 Aprile 2018

Intervista di Ella May – aprile / maggio 2016

Illustrazione di Davide Lorenzon
 

Yasmin Incretolli, romana poco più che ventenne, è la prima donna esordiente presentata dalla rubrica Ritratti dal Calvino. Il suo manoscritto, intitolato significativamente Ultrantropo(rno)morfismo, ha meritato la menzione speciale della giuria della 28° edizione del PIC e sarà in libreria a partire dal 9 giugno [2016] con il titolo Mescolo tutto, pubblicato dalla casa editrice Tunué. Yasmin, benché giovanissima, ha prodotto una delle narrazioni più cupe, claustrofobiche e violente che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi, resa ancor più spiazzante da un linguaggio sui generis che in qualche modo ostacola – ma allo stesso tempo amplifica – il riverbero livido delle tematiche trattate. Mescolo tutto è un testo sofferto e sofferente, che descrive senza mezzi termini realtà oscure e torbide, troppo spesso affrontate in modo morboso e superficiale.

 

1) Tu scrivi fin da quando eri bambina. Qual è il bisogno che soddisfi con la scrittura?

Nell’infanzia la pratica della scrittura è sempre stata il mio gioco preferito; lo facevo in modo spensierato, senza prenderla sul serio. Quello che prendevo molto sul serio era invece la lettura. Solo successivamente sono diventata consapevole della forza che la scrittura aveva su me. Il gioco si è trasformato in hobby e da lì, in pochissimo tempo, mi ha totalmente assorbita. Scrivendo riuscivo in qualche modo a sentirmi meglio, forte e bella. Grazie alla scrittura ho imparato ad apprezzare me stessa, così ciò che era nato come un gioco è arrivato a essere una vera e propria esigenza esistenziale.

 

2) Il tuo è un libro caratterizzato da toni molto forti, che sfiora a tratti livelli di violenza anche brutali. Da dove viene la storia che hai scelto di raccontare?

Ho scritto il romanzo quando avevo diciannove anni (la stessa età della protagonista), in un momento molto particolare del mio percorso di lettrice. Mi dividevo tra letterature sperimentali e romanzi destinati a un pubblico adolescenziale. Desideravo accordare gli aspetti peculiari di entrambi, ovvero da un lato linguaggio e contenuti a volte crudi e, dall’altro, le creature irrazionali e fragili della letteratura young adult. Mi interessava anche ribaltare in tragedia gli stilemi classici della narrativa adolescenziale. In Mescolo tutto non c’è lieto fine, non c’è consolazione: Chus, il ragazzo di cui si innamora la protagonista Maria, non è redimibile. Anzi, nel corso della storia si trasforma in carnefice e finisce addirittura per venderla ai suoi amici.

L’autolesionismo della protagonista è in sé il riflesso del silenzio a cui è stata costretta. Credo possa essere emblematica in questo senso la scena in cui Chus, in un gioco erotico da lei accettato ma non desiderato, le fascia la testa con della pellicola trasparente, arrivando quasi a soffocarla. Il mondo vuole ridurre Maria a mero corpo, così lei mortifica e tortura questo corpo. L’autolesionismo comunica la sua richiesta d’aiuto, dribblando le barriere di un ascolto passivo. Il sangue, peraltro, è parte significativa nell’esperienza adolescenziale delle ragazze. Dall’arrivo della prima mestruazione inizia una convivenza forzata, intima e conflittuale fra la donna e il sangue. Una corrispondenza simbolica atavica e determinante. Non mi stupisce, allora, che il fenomeno dell’autolesionismo colpisca maggiormente le donne. Cito un recente fatto che mi ha scatenato tanta tenerezza: l’hashtag #cut4zayn. Alcune directioners (fan adolescenti degli One Direction), turbate dall’abbandono di un componente del gruppo, hanno manifestato il loro disappunto postando foto di lesioni cutanee autoinflitte, nella speranza che il loro sangue servisse più delle parole. Questo dice molto.

 

3) Tu e Maria: quanto c’è di lei in te?

Poco. Pochissimo. Lei, paradossalmente, ha un tipo di coraggio che le invidio. Il coraggio di toccare il fondo, tirare fuori le unghie e scavare una galleria da cui sgusciare fuori. Io al contrario grido finché qualcuno mi raccoglie col cucchiaino.

L’uso della prima persona tuttavia è stata una scelta narrativa inevitabile, per mantenere una forte aderenza, anche emotiva, tra il narrato e la protagonista.

 

4) Maria, l’autolesionismo e il sesso. Cosa tiene insieme questo triangolo?

Maria sa bene che nell’epoca del corpo delle donne è relativamente semplice stare al mondo se riduciamo noi stesse a creature desiderabili e soprattutto accomodanti. Sa che concedersi, farsi trattare male, lasciarsi reificare, a volte pure rendersi zimbello, sono le maniere più lisce e ‘‘sicure’’ per farsi accettare dalla gente. E lei sente continuamente il bisogno d’essere accettata: è ciò che la porta a innamorarsi di Chus e ad accettare qualunque sua richiesta, è ciò che la porta poi a unirsi al gruppetto dei milanesi ricchi e viziosi, sebbene sotto sotto capisca che la accettano solo perché vedono in lei poco più che uno strano giocattolo nuovo.

Non mi sento però di mettere necessariamente in relazione questo stato esistenziale all’autolesionismo, anzi, è probabile che dentro di lei ci sia un contrasto tra la volontà di piacere e l’istinto a chiamarsi fuori dal gioco, a disgustare, a farsi rifiutare deliberatamente.

L’io e il corpo, in Maria, sono divisi dalla ripugnanza; se Maria si trova spesso coinvolta in situazioni carnali è perché il mondo la vuole sempre e solo ridurre a oggetto.

 

5) Il linguaggio che hai creato per Maria: perché?

Il linguaggio di Maria, la ricerca continua di parole astruse, la combinazione tra il forbito e il triviale, è una delle chiavi centrali del romanzo. Maria comincia a ‘‘parlare difficile’’ per difesa, cercando di distinguersi dalle etichette che il mondo le appiccica addosso sulla base di categorie sessuali e socioeconomiche. Per lei il linguaggio è uno scudo e un’armatura, cosa che può essere efficace a livello interiore, ma non sempre funziona con il mondo esterno: per i compagni di scuola diventa semplicemente una stramba fuori di testa, la madre le intima di parlare come mangia, mentre i milanesi restano affascinati e divertiti dal suo parlato fino al punto di mettersi a imitarlo solo perché lo trovano divertente, non certo perché lo prendano sul serio.

Si potrebbe dire che Maria utilizza una lingua esageratamente forbita, che a volte finisce per tracimare perfino nel narrato, anche nel tentativo di dare complessità a un mondo che vuole semplificare ogni cosa compresa lei, riducendola ai minimi termini di ragazzina-oggetto ed emarginata.

 

6) Come ti ha accolto l’ambiente del Premio Italo Calvino?

Il Premio Calvino è stata una bellissima sorpresa. Non mi sarei mai aspettata di arrivare in finale, con tanto di menzione speciale della giuria. Pensa che mi sono iscritta al concorso soprattutto perché ai partecipanti viene consegnata un’accurata scheda di lettura sul manoscritto inviato: volevo capire se il mio testo valeva qualcosa. Alla fine il libro ha suscitato un dibattito molto interessante tra i giurati e mi ha fatto davvero piacere che siano state apprezzate le scelte stilistiche del testo, considerate ardite per un’autrice della mia età.

 

7) La tua esperienza con la casa editrice: è stato difficile arrivare alla pubblicazione?

Il mio libro è stato selezionato da Vanni Santoni, curatore della narrativa Tunué. Lo ha scoperto a partire dagli estratti dei finalisti del Calvino che vengono pubblicati sull’Indice dei Libri del Mese. Mi ha contattata tramite il Calvino e da lì abbiamo lavorato molto intensamente sul romanzo; mi ha fatto riscrivere alcune parti poco chiare, mi ha aiutata a organizzare alcuni aspetti strutturali, mi ha pure chiesto di scrivere scene nuove per dare maggiore spessore alla seconda metà, che all’inizio era più breve e scarna rispetto alla prima. Per quanto riguarda la prosa mi ha chiesto di “alleggerirla” in alcuni punti, così da far risaltare meglio la scrittura complessa là dove serviva di più. Il tutto si è svolto sempre nel pieno rispetto del testo originale e dei suoi intenti.

Il titolo definitivo con cui il libro è stato pubblicato è comunque mio; che quello originale dovesse essere sostituito era ovvio, così Santoni mi ha chiesto di proporre una decina di alternative. Alla fine abbiamo optato per “Mescolo tutto”, che è una citazione tratta dal lavoro di Gina Pane, pioniera della body art, la quale utilizzava il suo stesso corpo come opera, anche attraverso tagli e ferite. La cito infatti anche in esergo.

 

8) Cosa ti ha lasciato la partecipazione al Salone del Libro di Torino?

Al Salone ho vissuto un momento intenso, e formativo. Ascoltare altri scrittori aiuta molto una esordiente. Però ciò che ho preferito in assoluto è stata la possibilità di scoprire realtà editoriali che non conoscevo. Un po’ come a Più libri più liberi mi sono fatta prendere dall’acquisto compulsivo e sono tornata a casa con una dozzina di volumi pubblicati da piccoli editori. Sto leggendo e amando Il grande animale di Gabriele Di Fronzo.

 

9) Tra tutti i commenti ricevuti in merito al tuo libro, qual è stato quello che ti ha ferito di più e quello che invece ti ha lusingato di più?

Il commento che più mi ha lusingato è stato ‘‘hai creato un’altra lingua’’, perché il tema della creazione della lingua in Mescolo tutto non è un vezzo stilistico, ma una vera e propria chiave narrativa. Al di là di questo ho ricevuto molti apprezzamenti lusinghieri, ancora prima dell’uscita del libro. Sono stata fortunata a trovare così presto un editore di qualità che abbia voluto credere in me e che mi abbia aiutata a lavorare sul testo, e so bene quanta strada mi resti ancora da fare per affinare la mia scrittura, però sono molto felice che il mio primo esperimento sia stato ben accolto. Per quanto riguarda i commenti cattivi, lasciano il tempo che trovano: sono consapevole che Mescolo tutto, per i temi che tratta e per il modo in cui è scritto, possa risultare un libro controverso: fino ad ora per fortuna i commenti positivi sono prevalenti.