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Claudia Cautillo

mercoledì, 4 Aprile 2018

Intervista di Ella May – giugno 2017

Illustrazione di Davide Lorenzon

 

Claudia Cautillo, nata e cresciuta a Roma, è di sicuro una donna sorprendente; minuta, elegante, sorridente. A vederla così, ci si aspetterebbe qualcosa di “politically correct”, invece lei ti guarda dritto negli occhi e ti mette in mano un libro spiazzante come Il fuoco nudo.
A conoscerla meglio, si capisce che invece c’era da aspettarselo. In fondo ha avuto il coraggio di fare qualcosa che in molti sognano di fare, me compresa: di punto in bianco se n’è andata a Las Vegas e si è sposata con il suo compagno senza dir nulla a nessuno fino a cose fatte. Da applauso.
Perciò ci sta che una donna come lei tiri fuori un romanzo “scorretto”, controverso e di grande impatto senza perder tempo a preoccuparsi troppo del polverone che può sollevare. Claudia “ha osato” trattare il tema scottante della pedofilia con un approccio nuovo, coraggioso e originale. Si può essere d’accordo con la sua visione della cosa oppure no, legittime entrambe le posizioni; ma sicuramente il suo è un libro che fa discutere e fa riflettere e che, proprio per questo, va letto e affrontato, perché è un libro che pone domande scomode, inquietanti, capaci di squarciare il pesante velo dell’indicibile.
1) Partiamo dalle parole: definizione di “pedofilia”, di “passione”, di “relazione”, secondo il dizionario e secondo te.
Scientificamente, la definizione della pedofilia è quella di una devianza che implica attività sessuali con bambini prepuberi. Ma dal mio punto di vista è un tratto umano, per quanto aberrante, che ci apre territori sconosciuti della psiche e dell’anima, affascinanti e misteriosi, attraenti e respingenti. Infatti il mio libro racconta la storia di una passione, e cosa sono le passioni se non quegli stati di emozione violenta, in contrasto con la razionalità, capaci di turbare l’equilibrio psichico e la capacità di controllo? Ecco il perché del titolo Il fuoco nudo: una passione che arde e consuma mettendoci a nudo. Tant’è che il termine “passione”, dal latino “pati” cioè patire, indica una condizione di passività, di schiavitù. Proprio come i due protagonisti, il sacerdote e la bambina Violante, e la loro complessa relazione, malsana e contorta ma che attrae proprio perché ci conduce nell’universo inesplorato del rimosso, della colpa, di quella parte negata e oscura che tuttavia è presente in ciascuno di noi.

 

2) Perciò chi sono don Marco e Violante, i due protagonisti del romanzo?

Il romanzo si articola a due voci che si alternano, quella di don Marco e di Violante, per uno sguardo dal ponte che dia ai protagonisti lo stesso peso ponderale. Lui è un giovane sacerdote cresciuto a cavallo degli anni ’70 e ’80, ma la sua ricerca di riscatto dal decadentismo generazionale fin de siècle si infrange a causa della passione per una bambina, che lo mette in crisi come religioso e come uomo. Lei è una donna adulta che rievoca la sua infanzia abusata e al contempo i suoi tratti di conturbante, consenziente “Lolita” persa in un’incantata “isola che non c’è” di giochi proibiti nascosti agli occhi degli adulti.

 

3) Nel tuo romanzo Violante si dimostra in qualche modo “consenziente”, all’interno della dinamica adulto-bambino. Secondo te può una bambina, all’interno di una relazione pedofila, essere realmente consenziente?

La tradizione letteraria è ricca di riferimenti pedofili, basti citare la Lolita di Nabokov, la serie delle Claudine di Colette o l’Alice nel paese delle meraviglie del reverendo Carroll. Anche il personaggio di Violante è ambiguo e ci offre una lettura dell’erotismo infantile che può essere considerata spiazzante. Ma l’aspetto più inquietante della pedofilia è proprio l’incapacità, per il bambino, di differenziarsi dall’abuso dandone un giudizio netto. Non è in grado di “uccidere” la figura paterna dell’adulto, che tende paradossalmente a giustificare e proteggere. Infatti Violante proietta su don Marco l’acerba attrazione che nutre per i divi della musica e del cinema, confondendone la figura tra quella di padre e quella di fidanzato. Gli iniziali giochi erotici tra i due, che nel corso della relazione culmineranno in rapporti sessuali completi, vedono la piccola Violante divertita e affascinata da quell’universo di complicità nascoste e segreti proibiti, non meno che dall’oscuro potere che sente di esercitare su quell’uomo tanto più grande di lei.

 

4) Il protagonista maschile: come succede, secondo la tua personale opinione, che un uomo possa nutrire un certo tipo di sentimenti per una bambina?

Don Marco è forse, tra i due, il personaggio che paga il prezzo più alto, cristallizzando la sua passione morbosa nell’idealizzazione di un passato che non può tornare. Ai suoi occhi Violante-bambina incarna e riassume, come per il miracolo di una serie di sorprendenti coincidenze, ciò che è precluso alla sua coscienza razionale, specchio delle profondità nascoste di se stesso e lucido testimone della sua debolezza. Incapace di superare le proprie pulsioni, l’inevitabile approdo è la deriva pedofila, sospeso in un limbo in cui la combatte strenuamente tanto quanto ne cerca un’impossibile e contraddittoria giustificazione.

 

5) Come cambia la relazione tra i protagonisti quando si incontrano dopo tanti anni e Violante è ormai una donna adulta?

Quando don Marco e Violante si incontrano, dopo molti anni nei quali non hanno più saputo niente l’uno dell’altra, lei è ormai una giovane donna e non più una bambina. Vengono ripresi entrambi nella spirale di una passione sado-masochista, attratti dal richiamo di un passato con cui credevano di aver definitivamente chiuso i conti, trovandosi senza preavviso di fronte ad un bivio esistenziale che esige delle risposte. È qui che la storia assume una svolta imprevista, una virata di coda che ridiscute le posizioni di vittima e carnefice e pone al lettore nuove domande.

 

6) Perché hai voluto raccontare questa storia?

Sono attratta dai temi forti, da ciò che è capace di emozionarmi nel profondo. Ma soprattutto amo le sfide, perciò ho voluto parlare di un argomento spinoso e tabù, che spesso si preferisce non affrontare per non incorrere in critiche o fraintendimenti. Oppure, quando se ne parla, lo si fa solo in modo pornografico e “sensazionalista”. Le stesse case editrici sono reticenti a pubblicare argomenti di questo tipo, preoccupate nella loro prudenza di alienarsi le simpatie del pubblico. Io invece non nutro questa diffidenza verso i lettori, al contrario penso che oggi ci sia una grande voglia di storie che scuotano, la gente è stufa di leggere libri rassicuranti scritti con l’intenzione di non pestare i calli a nessuno. In neanche due mesi il Premio Calvino mi ha trovato un editore, Mario Tricarico delle Edizioni A Nordest. Ho ricevuto diverse recensioni molto favorevoli, un articolo su “Il Tempo” e ne ho parlato a “La vita in diretta”. Ma la soddisfazione maggiore mi viene dai commenti entusiasti dei “non addetti ai lavori”. Non professori, critici letterari o intellettuali, ma gente comune a cui Il fuoco nudo è piaciuto tantissimo.

 

7) Tu hai una bella carriera di successi alle spalle, in campo letterario. Poi, alla fine, il Calvino. Raccontaci l’esperienza con il Premio torinese.

Avevo già partecipato a diversi premi letterari per scritti inediti, arrivando finalista o vincendo, come ad esempio “Giallo Mondadori”, “Io Scrittore” del Gruppo Editoriale Mauri-Spagnol, lo “Scriba Festival” di Carlo Lucarelli, “Il mio esordio” dell’Espresso e altri, ma non avevo ancora mai vissuto un’esperienza come quella del Premio Italo Calvino, che è stata bellissima ed emozionante, tanto che quasi quasi mi dispiace di aver già editato, perché non potrò partecipare una seconda volta! Ho trovato un ambiente di persone preparate e cordiali, dal presidente Mario Marchetti e i Lettori del Circolo a tutti i ragazzi dello staff, che colgo l’occasione per ringraziare. Un grazie anche a Filippo Tuena e Franco Pezzini, per la stima e la simpatia che mi hanno accordato. Consiglio a tutti gli aspiranti scrittori di partecipare, perché è un’occasione di dialogo e confronto davvero imperdibile. Il Premio Italo Calvino esiste proprio per seguire da vicino i suoi esordienti, aiutandoli nel loro percorso verso la pubblicazione.

 

8) Quindi com’è stata la tua esperienza con la pubblicazione?

Il romanzo è andato in stampa così come l’avevo scritto, senza modifiche di sorta né al testo né al titolo. All’editore è piaciuto molto, e non c’è stato bisogno di rimetterci le mani. Anche questa è stata un’avventura emozionante, perché essendo esordiente mi si è aperto un mondo nuovo nel quale non si smette mai di imparare. È stato particolarmente divertente andare in televisione, credevo mi sarei sentita in imbarazzo e invece è successo il contrario, ero a mio agio. Alla presentazione ufficiale mi ha fatto da relatore Giovanni Floris, perché aveva letto Il fuoco nudo e lo aveva trovato bellissimo. Successivamente l’ho presentato al Premio Augusta, e ora è tra i finalisti. Vedremo gli sviluppi futuri, incrocio le dita.

 

9) Quali critiche e quali apprezzamenti ti hanno colpito di più?

Non mi ero fatta piani. Non programmo il futuro ma, più semplicemente, lo aspetto. Un po’ per carattere, un po’ per scaramanzia. In ogni caso per un esordiente il difficile, nell’inesauribile marea di titoli che vengono editati ogni anno, è soprattutto quello di far sapere che il proprio libro esiste. Dunque in proporzione, rispetto alla mia capacità di essere visibile sul mercato, sono piuttosto soddisfatta. Critiche ne ho ricevute per la copertina, che alcuni ritengono troppo forte e in qualche misura fuorviante. È opera di un artista cubano molto bravo, Erik Ravelo, dalla campagna choc “Gli intoccabili” per Fabrica di Benetton sul tema dell’infanzia, tra abusi e diritti negati, e l’editore l’ha scelta perché è di grande impatto emotivo. Rappresenta un cardinale e un bambino crocifissi insieme, a denuncia della pedofilia negli ambienti della Chiesa. C’è chi dice che faccia pensare ad un feroce atteggiamento di accusa che nel romanzo in effetti è assente. In questo senso hanno ragione perché al contrario la storia è molto bilanciata, ho scelto di raccontarla in modo da lasciare massima libertà al lettore di formarsi la sua opinione, senza schieramenti esibiti o accuse manifeste. Altri invece l’hanno apprezzata, perché non solo il bambino ma anche il sacerdote è rappresentato in croce, è cioè anch’egli vittima del suo stesso abuso. È un’immagine che si apre a molti livelli di lettura.