assaggi e critiche

PRESENTAZIONE DEI FINALISTI DELLA XXIX EDIZIONE

mercoledì, 29 Giugno 2016

Il comitato di lettura (costituito quest’anno da 42 membri), fra seicentosessanta concorrenti (poco meno di due terzi gli uomini, poco più di un terzo le donne; sicuramente sottorappresentato il Sud, comprese le Isole, con solo il 20 % dei concorrenti – ma bisogna dire che è un dato costante per noi), ne ha selezionati nove. Il compito non è stato facile perché i testi interessanti erano davvero molti. Si è puntato a una scelta che fosse insieme rigorosa e rappresentativa di tendenze, temi e stili diversi.

Quest’anno, come già lo scorso anno, in finale abbiamo una prevalenza di autori del Centro, cinque su nove; gli altri quattro risiedono al Nord, spartendosi tra Milano e la letterariamente ferace Emilia. Mancano rappresentati del Sud continentale e della Sicilia, come, peraltro, nella rosa finale non compaiono Veneto e Sardegna che ci hanno dato negli scorsi anni tanti vincitori e finalisti. Le età variano dai 24 ai 74 anni, con una significativa presenza di giovani sotto i 25 anni, ben quattro su nove. La loro partecipazione quest’anno è stata superiore alla media delle edizioni precedenti, e ciò ci ha fatto particolare piacere, pur se, com’è noto, il nostro Premio è uno dei pochi aperti a concorrenti di ogni età, e anche questo è un nostro vanto. I quattro giovani stanno completando gli studi magistrali o stanno specializzandosi. Tra gli altri, abbiamo due autori provenienti dal mondo della fabbrica, un ex sindacalista e un tecnico che ha lavorato vent’anni in acciaieria, finito in esubero, come tanti in Italia. Tre sono le donne e sei sono gli uomini. Altra particolarità, ben tre finalisti hanno fatto studi filosofici. Quanto ai temi, non è immediato trovare un filo comune. Di certo, però, nessun testo è consolatorio o spudoratamente commerciale. Tutti affrontano, sia pur in chiave diversa, nodi esistenziali o sociali di rilievo.

Un romanzo particolarmente accattivante sul piano narrativo è La serrata di Alessandro Pierozzi che ci racconta, facendo l’occhiolino al neorealismo, la Roma di borgata dell’immediato dopoguerra, tra grandi caseggiati e vita di fabbrica: potremmo tranquillamente definirlo un’opera nazional-popolare, dove, nonostante i drammi, prevale la speranza. La fabbrica ritorna in Inox di Eugenio Raspi, nella veste delle ormai largamente ridimensionate acciaierie di Terni (Thyssenkrupp, di recente e criminosa memoria!). Qui la speranza non c’è più, ma ci sono – resi con inedita efficacia − i rapporti difficili tra maestranze, tra maestranze e dirigenti, tra maestranze e sindacati. La luce si è spenta, prevale l’individualismo e il desiderio di fuga. L’odierno senso sociale d’impotenza trova un’originale declinazione in Baratro del giovane Adil Bellafqih, che, affidandosi all’ucronia, costruisce una parabola di notevole forza, in cui si mescolano con abilità elementi di genere e di critica sociale: tutto si svolge all’interno di un ipotetico – ma non poi troppo – Centro di rieducazione alla democrazia e al libero mercato in un’Italia giunta al disastro ambientale. Di un futuro che è già presente, che è già tra noi, ci parla − non senza provocare in chi legge una sottile inquietudine − Il perturbante di Giuseppe Imbrogno, facendoci penetrare nel mondo delle tecnologie digitali e rivelandoci quanto le nostre esistenze possano essere controllabili da chi detiene il potere informatico. Argomento, inutile dirlo, di indubbia attualità. Da questo testo promana un senso di solitudine sociale che ritroviamo, giocato in altra maniera e con altro linguaggio in T-Trinz di Alessandro Calabrese. Qui siamo al classico romanzo di banda giovanile, ambientato in una cittadina emiliana di provincia, in un fine estate: nichilismo, noia, prove di vita e di eroismo vi sono espressi con radicale intensità in una plumbea atmosfera priva di orizzonti. L’isolamento − e quindi di nuovo la solitudine − nella comunità è il filo conduttore del romanzo di Elisabetta Pierini, L’interruttore dei sogni, che ci trasporta in un suburbio residenziale dei nostri tempi: dietro l’apparente armonia delle villette a schiera si cela un’anodina infelicità quotidiana illustrata dall’autrice con uno straordinario mix di favola e realismo. E arriviamo a una serie di testi apparentemente più lontani da una radiografia dell’oggi. Al cuore di Branchia di Martina Renata Prosperi – suggestivo, struggente e complesso costrutto che intreccia un piano di realtà e un piano di finzione − ci sono due personaggi diversamente “diversi” (interesse portante della bioletteratura degli ultimi anni): una giovane anoressica e un ragazzo sprovvisto di polmoni. Entrambi cercano, e insieme rifuggono, il contatto con gli altri. Nel Fuoco nudo, Claudia Cautillo affronta con gusto squisitamente artefatto, tra il liberty e il sadiano, in una prosa dai molteplici echi letterari, l’innamoramento, o meglio la passione, di un sacerdote per una bambina che, occorre dire, ricambia e ricorda nostalgicamente anche da adulta: insomma un’Alice e un reverendo Dodgson che passano all’atto. Infine La splendente di Cesare Sinatti ci proietta ai tempi del mito antico. Una prodigiosa rivisitazione, quella del giovane autore, che dà nuova risonanza all’epos di vita e di morte, di orrore e di bellezza del ciclo troiano in virtù di uno sguardo e di una sensibilità assolutamente contemporanei.

Gli stili e le scritture sono mediamente di buon livello, per coerenza e capacità evocativa: si va dalla sapida narrazione popolaresca della Serrata, al rarefatto e umbratile stile della Splendente e di Branchia; dalla lingua tecnicamente algida del Perturbante al manierismo del Fuoco nudo, dalla prosa ritmata di T-Trinz a quella tutta cose di Inox, dalla nitida icasticità dell’Interruttore dei sogni al gradevole e coerente registro di genere di Baratro.

Un panorama, insomma estremamente variegato, che conferma la validità della nostra formula di sondaggio nel sommerso.

Quest’anno, come novità, presentiamo, oltre ai finalisti, due autori proposti con segnalazione speciale dal Comitato di lettura: Miele del sedicenne Rocco Civitarese, una sorta di immaginifica graphic novel e l’ironicamente gustoso E Italo Calvino vinse il suo premio di Daniele Antonietti che ci prende con amore e simpatia in giro. Come si sa, essere oggetto di satira, significa contare qualcosa…